venerdì 28 febbraio 2014

Lo sciamanesimo

sito web Nel romanzo “La danza dello sciamano”, di Alfio Giuffrida, ad un certo punto compare, solenne, la figura di uno sciamano!  È uno dei personaggi principali del libro. Aldyr, questo il nome del veggente, è nato” in Siberia, a Ulan Ude, nei pressi del lago Baikal, da una nobile famiglia di Buriati. Da bambino veniva condotto dai parenti della mia etnia alle sedute sciamaniche che si svolgevano in molti villaggi della Buriazia.

E sono proprio questi poteri soprannaturali che gli permettono di curare le persone affette da alcuni mali che, per la medicina moderna ed ufficiale, sono incurabili. Così egli si trova costretto a curare Laura, una ragazza ormai spacciata perché è stata morsa da un ragno velenoso. Lui ha l’antidoto adatto a quel veleno, lo spalma sulla pelle dove la ragazza è stata morsa e inizia la sua danza rituale, quella che estrarrà il morbo attraverso la pelle. Ma non accade nulla. Buin aumenta la dose del suo unguento e riprende con più forza la sua danza liberatoria, ha usato  una quantità tale che sarebbe in grado di scacciare il male da qualsiasi persona, ma vede che ancora non è sufficiente, su quella donna il suo rito  non ha effetto. Alla fine una luce lo illumina, quella ragazza non reagisce al rito satanico classico perché ….  anche lei è una sciamana!  È sua figlia, che lui non sapeva di avere avuto, perché concepita in quell’unica notte in cui una donna straniera, che stava fuggendo da tutti per disperazione che aveva dentro se stessa, si era rifugiata da lui.

Ma al di là del racconto, gli sciamani esistono davvero oppure sono solo una leggenda?
Quando ho scritto “La danza dello sciamano”, volevo accendere una discussione sulle medicine alternative: dalla omeopatia all’agopuntura, dalla chiropratica all’ipnosi. Poi i miei sforzi si concentrarono sul sufismo (anche questa pratica è un campo nuovo, tutto da scoprire) e lo sciamanesimo. Lo scopo che ho voluto dare ai miei libri è quello di destare la curiosità, mia e dei miei lettori, sulle cose di cui abbiamo poca conoscenza o, addirittura , non sappiamo nulla.

Eppure esistono e, adesso, che tramite internet possiamo conoscere meglio ciò che accade, o è accaduto,  in tutte le parti del mondo, è interessante parlarne, per saperne almeno qualcosa!
Così sul sito: <  http://www.mednat.org/sciamani.htm >    si legge che lo sciamano è: “Uomo di medicina e di religione, figura rinvenibile originariamente presso le culture dei cacciatori-raccoglitori scarsamente strutturate, tecnologicamente poco evolute e omogenee.”.  E inoltre: “Lo sciamano, generalmente di sesso maschile, è essenzialmente un medium, ..”.

Ma sul sito: < http://it.wikipedia.org/wiki/Leggende_sugli_sciamani_siberiani >  ho trovato qualcosa di ancora più interessante: “Lo sciamanesimo siberiano è una tecnica dell'estasi durante la quale il protagonista è convinto che la sua anima si trasferisca altrove, agli inferi per imbattersi negli spiriti o in alto nelle sfere celesti. … Le leggende riguardano soprattutto popoli di lingua altaica, quali i buriati, gli iacuti, i tungusi e gli altaici stessi. Gli sciamani siberiani sono esseri in qualche modo prescelti, o per vocazione o per predisposizione ereditaria, che entrano nella sfera del sacro per compiere, quel che loro ritengono un viaggio extraterreno.”.

Ma ciò che più attrae sono le leggende che sono nate attorno a questi personaggi. Prima fra tutte quella dello “Sciamano Syngaaga-Suoch “:  La leggenda narra che venne chiamato in questo modo, ossia "lo sciamano senza mascelle" perché venne catturato per ben tre volte e fatto a pezzetti da un malintenzionato. Tuttavia lo sciamano risuscitò, ma al posto delle sue mascelle bruciate gli furono inserite quelle di un vitello. Questo sciamano visse a lungo ed in punto di morte chiese di essere portato alle foci del fiume Botoma (affluente del Lena) dove morì. Ancora oggi, secondo la leggenda, gli abitanti di Botoma cercano di non incitare le mucche a muggire per timore che lo spirito dello sciamano risponda. Secondo la bibliografia data da Wikipedia, questa leggenda si trova su: "Leggende sugli sciamani siberiani", di Luciana Vagge Saccorotti, Fabbri Editori Rcs, Milano, 2001, pag.129-134.

Un’altra storia interessante, raccontata sullo stesso libro della Saccorotti, è quella dello sciamano “Bjukes-Jullejeen”: La leggenda narra che durante un terribile temporale il protagonista, che fino ad allora aveva avuto una vita normale, venne colpito da un fulmine e ridotto in briciole. Sembrava morto, ma invece dopo poco tempo si mostrò a suo dire risorto ed in bella forma grazie al dio del tuono e del fulmine Sjujule-Chaan che ha dissezionato il suo corpo e lo ha fatto rinascere sciamano. Bjukes-Jullejeen aveva un fratello anche lui sciamano ed era figlio di un altro leggendario sciamano.

Nel frattempo che la composizione del mio libro andava avanti, trovavo entusiasmo a leggere storie tanto strane, per cui avevo voglia di farne partecipi i miei lettori ma, al tempo stesso, mi rendevo conto che quella in cui mi stavo inoltrando non era la mia materia, per cui cercavo notizie certe, rivolgendomi a persone che avessero compiuto degli studi su questa materia. Navigando in rete ho trovato il seguente sito: < http://www.sciamanesimo.com/homepage.html >, cui corrisponde l’indirizzo e-mail: < info@sciamanesimo.com >, al quale ho scritto per saperne di più, ma dal quale non ho avuto risposta. E allora ??? Ho completato il libro con le informazioni che avevo e quel po’ di bibliografia che ho riportato. Ne è venuta fuori una storia interessante. Il libro “La danza dello sciamano” edizioni Booksprint è in libreria, anche se si trova più facilmente in rete, sia in forma cartacea che come e-book.

Se sapete qualcosa di più sullo sciamanesimo vi prego di farmelo sapere tramite dei commenti su

venerdì 10 gennaio 2014

“La danza dello sciamano” – Il sacrificio di Halima

sito web È un brano del libro: “La danza dello sciamano” di Alfio Giuffrida
I libri di Alfio Giuffrida fanno parte del filone letterario  VERISMO INTERATTIVO, in cui il lettore può diventare “Protagonista” del romanzo commentando le discussioni aperte nel FORUM del sito  http://www.alfiogiuffrida.com/  ,sui vari argomenti di attualità inseriti nel testo.

In quei giorni arrivò a Gabes una donna berbera che nessuno aveva mai visto prima. Era sola ed era andata a dormire in una baracca abbandonata ai margini della città.
Oltre a poche masserizie, aveva portato con sé un piccolo fornello simile ad un barbecue e si era messa in piazza a fare le “taguelle”, delle focacce di miglio che lei cucinava su una lamina di metallo, posta direttamente sui carboni accesi.

Appena cotte, lei le condiva con sugo di carne di pecora e alcune spezie, che preparava a parte.
Faceva inoltre un tè alla menta che solo lei riusciva a rendere così gradevole ed aromatico, era unico al mondo per quanto era buono. A chi le chiedeva, diceva di essere di etnia berbera, di chiamarsi Halima e di provenire da Gafsa. Era vedova e si guadagnava da vivere cucinando le taguelle e facendo il tè.
Era vestita di stracci, segno evidente di una profonda povertà economica, ma era ricca di ingegno, aveva delle raffinatezze di portamento che solo le donne di una certa classe potevano avere.
Il suo viso era dolce e delicato, ma allo stesso tempo serio ed altero, al solo guardarlo incuteva rispetto. Se fosse stato curato meglio sarebbe stato in grado di attrarre uomini ben più giovani dei quarant’anni che lei dimostrava.
Anche il suo corpo era ben fatto, armonioso e con giuste rotondità senza essere corpulento, le gambe erano dritte e sode mentre la sua pelle era liscia e morbida. A vederla era una donna attraente, solo le mani erano poco curate, solcate dai segni di un duro lavoro, con i polpastrelli callosi e bruciacchiati.
I ragazzi che la vedevano cuocere le taguelle si fermavano stupiti ad ammirare il coraggio con cui quella donna sopportava il dolore quando spostava i carboni accesi a mani nude. Li incastrava in modo che restasse solo un po’ di spazio per far circolare l’aria e non di più, poi li pressava, sempre a mani nude, in modo da formare una superficie perfettamente orizzontale su cui appoggiava la lamina di metallo.
Faceva tutto questo sempre senza usare delle pinze che erano costose e non poteva permettersi, inoltre lo faceva con calma, per farlo bene, altrimenti le taguelle non si sarebbero cucinate in modo perfettamente uniforme e le persone non si sarebbero fermate a comprarle. Ma le sue taguelle erano veramente speciali, era la perfetta cottura che le rendeva così buone, diverse da tutte le altre.
Un giorno Halima si presentò in carcere e chiese di parlare con Karim. …….

venerdì 3 gennaio 2014

“La danza dello sciamano” – Il Priorato di Sion


È un brano del libro: “La danza dello sciamano” di Alfio Giuffrida
Si trova in libreria oppure on line:
I libri di Alfio Giuffrida fanno parte del filone letterario  VERISMO INTERATTIVO, in cui il lettore può diventare “Protagonista” del romanzo commentando le discussioni aperte nel FORUM del sito  http://www.alfiogiuffrida.com/  ,sui vari argomenti di attualità inseriti nel testo.

 
In effetti, il periodo della predicazione di Gesù e quello immediatamente successivo alla sua crocifissione, furono caratterizzati da una sequenza di eventi storici pieni di misteri.

   Da sempre si favoleggia di misteriosi dossier segreti che il Vaticano custodirebbe nei propri archivi. Ma esistono veramente queste testimonianze antiche che, se divulgate, potrebbero cambiare la storia del mondo?
Sicuramente la possibilità di leggerli liberamente ed integralmente, potrebbe dare un enorme contributo alla conoscenza storica dei fatti mentre, se è vero quanto molti affermano, il loro contenuto è noto solo in piccola parte. Sembra infatti che l’accesso ad una parte di essi si verificò solo agli inizi del 1800, quando Napoleone Bonaparte impose al Papa anche la consegna delle chiavi di tutti gli archivi presenti in Vaticano.
Quella breve apertura svelò tuttavia alcuni eventi di cui non si aveva notizia o si era persa ogni traccia, come ad esempio l’esistenza del Priorato di Sion e dell’Ordine dei Templari oppure le carismatiche predicazioni di Pietro l’Eremita che portarono i potenti di tutta Europa ad indire la Prima Crociata.
Non pensa, Monsignore, che la chiesa dovrebbe chiarire, una volta per tutte, questo mistero?
Io credo che, se tali archivi segreti esistessero veramente, il poter accedere a queste notizie e poter discutere pubblicamente di questi argomenti, ingigantirebbe l’interesse sulla storia di Nostro Signore. Inoltre sono certo che rafforzando la conoscenza ne guadagnerebbe di sicuro anche la fede.  
Nonostante questi dubbi, la mia fede in Cristo non è stata mai scalfita da questi misteri. Vorrei solo che il Clero avesse la pazienza di rispondere ai dubi di ciascuno di noi con parole facili e con un linguaggio semplice. Non è questa una esigenza giusta e forse condivisa da molte altre persone?».
Nel frattempo che proferiva con forza queste frasi, ……

giovedì 26 dicembre 2013

“La danza dello sciamano” – La “riattaccata” con l’aereo


È un brano del libro: “La danza dello sciamano” di Alfio Giuffrida
Si trova in libreria oppure on line: http://t.co/L1oZOWLK
I libri di Alfio Giuffrida fanno parte del filone letterario  VERISMO INTERATTIVO, in cui il lettore può diventare “Protagonista” del romanzo commentando le discussioni aperte nel FORUM del sito  http://www.alfiogiuffrida.com/  ,sui vari argomenti di attualità inseriti nel testo.

 
I passeggeri erano tesi, ma in quel mentre si ebbe una violenta perdita di quota! Mentre tutti aspettavano di sentire che le ruote toccassero l’asfalto, improvvisamente i motori cominciarono a rombare a tutta forza, l’aereo prese nuovamente velocità scivolando sulla pista senza tuttavia toccarla, il numero dei giri del motore salì al massimo, facendo vibrare l’aereo come un frullatore nel quale erano stati messi a macinare dei chicchi di caffè.
 
L’aereo riprese l’assetto di salita; era come se stesse decollando di nuovo, ma in modo frenetico, il rumore dei motori era assordante, tutto sembrava roteare e sobbalzare. Le persone furono sballottate in tutte le direzioni e restarono incollate ai sedili solo perché erano legate con le cinture di sicurezza.
I flap si erano retratti improvvisamente e le estremità delle ali beccheggiavano violentemente, sembrava stessero per spezzarsi.
Nella parte bassa dell’aereo si sentì un rumore secco, come se fosse qualche oggetto che era sbattuto violentemente contro la carlinga del velivolo.
Un tonfo che gelò il sangue nelle vene dei passeggeri, forse si trattava solamente del carrello che era stato retratto, ma nessuno osò chiedere conferma.
Laura guardò Claudio con terrore,  una scarica di adrenalina aveva pervaso il suo corpo, aveva dei brividi come se le avessero rovesciato una secchiata di cubetti di ghiaccio tra la camicetta e la schiena ma, stranamente, avvertiva uno strano calore scorrerle dalla testa ai piedi ed un sudore freddo bagnarle la pelle.
Le veniva da urlare e vedeva che anche gli altri passeggeri si guardavano attorno, anche loro atterriti.  Claudio era immobile, con lo sguardo fisso di chi sente un grosso vuoto nello stomaco, ma sa che non è fame.

Alex, che essendo un Ufficiale dell’Aeronautica Militare aveva volato molte più volte di loro ed aveva già avuto l’occasione di trovarsi in una situazione simile, disse:  «Non preoccupatevi, è solo una “riattaccata”! Una manovra che viene eseguita quando la fase di atterraggio presenta qualche situazione per la quale è obbligatorio o consigliabile interrompere la discesa ed effettuare nuovamente un circuito in volo per poi ripresentarsi all’atterraggio».
A quelle parole inaspettate, tutti lo guardarono con interesse. Laura lasciò la mano di Claudio e prese quella di Alex, che era seduto nel sedile accanto al suo, dalla parte del finestrino, stringendola con entrambe le sue.
Lo guardava spaventata, con gli occhi fuori dalle orbite, balbettando qualcosa ma senza dire nulla. Mentre l’aereo riprendeva quota. Alex sfiorò appena quelle mani che lo stringevano forte e si sentì attratto da quella ragazza. Incrociò per un attimo anche lo sguardo di Claudio e notò un rancore represso nei suoi occhi.
Vide che gli occhi di tutti i passeggeri erano puntati su di lui e si sentì al centro dell’attenzione, come un missionario che deve spiegare ad un gruppo di indigeni, raggruppati attorno a lui, perché devono avere fede in Cristo, mentre un altro gruppo di ribelli sta già sparando delle raffiche di mitra su di loro.
Per un attimo pensò alla ragazza seduta a fianco a lui, che gli era stata presentata da Claudio semplicemente come una esperta di serre, che partecipava a quel viaggio per lavoro in qualità di rappresentante della sua ditta. Vide che lei adesso teneva gli  occhi chiusi, era pallida e tremava come una foglia.
Quel volto e quella espressione lo fecero sentire al centro di una grande responsabilità.
Doveva fare qualcosa per evitare che tutti i passeggeri fossero presi da una crisi di panico, ma gli argomenti validi non erano poi tanti, per cui si mise a spiegare a voce alta le fasi di una riattaccata, in modo da rassicurare quei corpi ormai quasi privi di anima.
Cominciò a parlare con calma, con il suo solito tono da professore: «Una riattaccata è un evento inusuale, ma è una manovra di sicurezza e non di emergenza.
Se il pilota ha preso la decisione di riattaccare, in genere è perché ha valutato di essere “arrivato lungo” sulla pista, oppure perché ha notato che l’assetto dell’aereo non è quello ottimale o perché la torre di controllo gli ha dato ordini precisi per evitare un possibile ostacolo in pista. 
In questo caso, forse, ci siamo semplicemente trovati in una situazione di “wind shear“ dovuto all’effetto di un temporale nelle vicinanze, che crea forti variazioni di intensità e direzione del vento e rende incontrollabile l’aeromobile. Bene ha fatto il comandante a riattaccare».
In effetti lui non aveva paura per se, si era trovato altre volte ad essere coinvolto in una simile manovra e ne era uscito sempre vivo. Ma adesso si sentiva responsabile dei sui compagni di viaggio, doveva prolungare quel discorso per tutta la durata della manovra, in modo da tenerli impegnati e non fare sentire loro la paura.  
Alex deglutì profondamente e continuò quel suo discorso che non aveva preparato.
«Una volta iniziata la manovra, deve quindi eseguire una serie di operazioni, la prima delle quali consiste nel dare “manetta” ai motori, in modo da avere la massima potenza, come nella fase di decollo. Contemporaneamente deve retrarre i flap ed il carrello, in modo da far prendere velocità e quota al velivolo.
Stando seduti avvertiamo una variazione di assetto dell’aereo, ci accorgiamo infatti che riprende a salire anziché continuare s scendere. Se guardiamo dal finestrino, vedremo i flap rientrare, spostandosi dalla posizione di atterraggio a quella di decollo.»
In quel mentre guardò dal finestrino ……..

martedì 3 dicembre 2013

“Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida – Quando una donna si innamora di un’altra donna.

sito web
È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp 

Con quella frase Alex si fermò, a quel punto iniziava quella breve parentesi scabrosa, che tuttavia era stata la fase più oscura dell’intera vicenda. Guardò la moglie con un’aria di attesa, voleva sapere perché quel sabato mattina lui si era trovato coinvolto nel loro gioco d’amore! Che effetto aveva avuto la sua presenza nel far riconciliare i due fidanzati coreani?

Silvia lo guardò con l’aria impaurita: «Non ti ho mai chiesto cosa sia accaduto tra voi due, in quelle due ore che vi ho lasciato soli e come vedi non te lo chiedo neanche adesso. Sono stata io a volerlo, per cui qualunque cosa abbiate fatto, avete avuto la mia approvazione e benedizione!».

Alex la guardò stupito ed adirato, era lui che voleva sapere perché era stato chiamato a partecipare ad uno dei loro incontri amorosi. Non lo aveva chiesto lui di entrare a farne parte: «Tra me e Bae non è accaduto nulla! Io non ho proprio niente da nascondere. Sei tu che devi dirmi perché mi hai chiamato in mezzo a voi!».

Silvia arrossì ed abbassò gli occhi. Quella affermazione che tra loro due non era accaduto nulla le diede una grande gioia, anche perché, dal tono della voce del marito, capì che era assolutamente sincera.

Ma questo la fece vergognare ancora di più dell’intrigo che lei aveva organizzato e di come vi aveva tirato in mezzo il marito, trattandolo come un oggetto. «Da un paio di giorni mi ero accorta che quel che provavo per Bae era amore, mentre lei non si accontentava più delle mie carezze femminili! Lei aveva bisogno di un uomo, che la facesse sentire donna con la forza della sua natura ed anche con il vigore del suo …» alzò un attimo lo sguardo verso il marito, cercando di intuire se lui dava cenno di giustificare il suo gesto. Ma il volto di lui rimase inflessibile.

Tirò su un singhiozzo e, dopo una piccola pausa, continuò: «Mi capisci? Comprendi il dramma che avevo dentro di me? In quel momento per te sentivo solo amicizia e ti ho voluto mettere al mio posto per costringerla a scegliere tra me e un uomo. Così organizzai tutto la sera prima. Le dissi che le avrei fatto provare la differenza tra la mia soave dolcezza e l’ebbrezza virile di essere posseduta da un uomo.

Ti lodai nelle tue doti maschili e le dissi che di te non me ne importava più nulla. Le giurai che amavo solo lei e doveva essere proprio lei a scegliere: se avesse voluto te, vi avrei persi entrambi, altrimenti ti avrei lasciato un biglietto di addio e sarei andata a vivere con lei. Ma lei non scelse né me né te, scelse invece Park e per questo io ritornai ad immaginarmi come tua moglie e, gradualmente, cercai di ricucire il nostro rapporto che, in quell’oscuro periodo, era proprio finito.»

Alex ebbe di nuovo uno scatto di rabbia, agitò le mani come se volesse colpirla con uno schiaffo. Lei chiuse gli occhi e arricciò la fronte, per un attimo fu contenta di quel gesto dettato dall’ira. Avrebbe proprio voluto quello schiaffo, sapeva che se lo meritava proprio. Ma anche quella seconda volta, lo schiaffo non arrivò!

Alex era troppo signorile per colpire una donna ed in particolare sua moglie, alla quale voleva un bene infinito. «Dunque era così falso ed insignificante l’amore che ti legava a me? » Replicò con la voce strozzata dalla rabbia. Silvia gli gettò le braccia al collo e lo baciò. «Scusami …. Se puoi!» Gli disse scoppiando in un pianto dirotto! «In quei giorni avevo proprio perso la testa! Mi sentivo in colpa verso di lei e mi sono immersa completamente nel suo personaggio.

Volevo immedesimarmi nei suoi sentimenti, martoriati da quella profonda delusione amorosa, per impedire che vacillassero, facendola precipitare nella più profonda delle depressioni. Volevo proteggere il suo corpo da atti inconsulti, affinché non mettesse in atto qualche gesto irrimediabile. E invece di quel corpo me ne sono innamorata, pazzamente e totalmente. In quei giorni pensavo solo a quello, desideravo toccarlo, baciarlo, massaggiarlo, amarlo.
 
Era un sentimento morboso ...........

sabato 16 novembre 2013

Chicco e il Cane – Ricordi di infanzia a Mascalucia

È un brano del libro: “Chicco e il Cane” di Alfio Giuffrida
Si trova on line  http://t.co/L1oZOWLK

 


In un attimo perse tutta la sua prepotenza ed anche quel senso di sicurezza che aveva verso se stesso. Tutto quel mondo dorato che aveva costruito attorno alla sua figura, stava crollando miseramente ed implacabilmente. Pensò a se stesso non più come a un giudice, onesto, severo, giusto ed imparziale, delle cui azioni e decisioni andava fiero, che sapeva giudicare e consigliare il prossimo, dettando le sue giustissime sentenze anche in famiglia. Tutto ciò era ormai avvolto in una nebbia irreale, mentre una nuova luce si faceva spazio nel suo cervello stanco. In quel momento si vide di nuovo bambino.
Nella sua mente era tornato ad essere semplicemente Luca, quel ragazzino che giocava felice assieme a tanti altri, con le sue marachelle e la sua gioia di vivere, con i suoi piccoli problemi, i suoi grandi interessi e col suo sogno segreto: che un giorno sarebbe riuscito a diventare una persona importante.   
Nel silenzio della notte, egli cercava di capire cosa fosse accaduto alla sua mente. Valutare se il suo cervello era completamente spento o fosse ancora in grado di pensare. Poi, a poco a poco, le sue cellule celebrali ripresero a lavorare, cominciò a rivedere, come in un film, le immagini salienti della sua vita. Rievocò gli anni della sua fanciullezza, la spensieratezza delle sue azioni da bambino, gli episodi accaduti nel paesello dove era nato, laggiù in Sicilia a metà strada tra Catania e l’Etna.
Fu il ricordo di una vita semplice, le passeggiate scolastiche che nel periodo delle scuole elementari si facevano il giovedì, quando la maestra li portava fuori, formando una lunga fila di piccoli alunni che si tenevano tutti con la mano. Prima però controllava, con lo stesso amore che avrebbe avuto una mamma, che i “suoi” bambini avessero tutti la loro colazione a sacco, in genere due fette di pane con in mezzo un po’ di mortadella o di formaggio fatto con latte di pecora fresco, di quello comprato dal pecoraio del paese che lo faceva in casa e, quando lo si addentava, faceva uno strano stridio di fresco sotto i denti. Ma erano in pochi ad averlo, perché costava caro ed solo alcuni di loro potevano permetterselo.
La passeggiata in genere era breve, la maestra li portava sempre nel cortile di una vecchia chiesa sconsacrata che era poco distante dalla scuola, ma i bambini erano molto contenti di poter correre un po’ e giocare a nascondino tra quei pochi alberi di olivo e qualche manufatto abbandonato.

In terza elementare avevano avuto invece il “Maestro Tomaselli” che era anziano e della vecchia guardia, lui non aveva la pazienza di controllare le loro merende e portarli sull’erba. Lui era un gran brav’uomo, un padre di famiglia, ma era anche un nostalgico, non si era per nulla accorto che il mondo era cambiato.
Quei “suoi” bambini lui li considerava ancora dei piccoli “Balilla”, nonostante quel periodo fosse ormai del tutto passato. Il giovedì, nell’ora della passeggiata, li inquadrava nel cortile della scuola e li faceva marciare, dritti ed in riga come dei veri soldati. Aveva insegnato loro a prendere le distanze tra una fila e l’altra con il braccio destro alzato, poggiando la mano prima sulla spalla di chi stava loro davanti e poi di chi stava loro a fianco, in modo da non urtarsi quando marciavano a passo cadenzato, mentre lui scandiva forte “un, due, un, due, … passo!”.
Aveva insegnato loro a fare anche il “passo dell’oca” ed avrebbe voluto che i bambini facessero anche il saluto fascista, ma qualche genitore l’aveva saputo ed era andato a dirgli, a brutto muso, che non era il caso che rievocasse in modo così evidente un passato che tutti avevano voglia di dimenticare in fretta. E lui aveva obbedito, anche se nessuno seppe mai se ciò fu per paura, oppure per la consapevolezza di chi è convinto delle sue idee, ma rispetta anche quelle degli altri.
E poi ci fu la grande nevicata del ’56, quella che è stata rievocata anche in una canzone di Mia Martini che ha avuto molto successo. In quella occasione tutti i bambini di Mascalucia giocavano a fare pupazzi di neve oppure si rotolavano felici nella piccola discesa di Via Calvario dove, in alcuni giorni, la neve era abbastanza alta e le macchine non potevano circolare. In quell’ambiente, tanto strano in un paese del sud, che era diventato improvvisamente di aspetto polare, imbiancato di neve e bloccato nelle attività quotidiane, che faceva arrabbiare gli adulti, impacciati ed impossibilitati a recarsi al lavoro, i bambini facevano le loro nuove esperienze, adattandosi con gioia a quel paesaggio soffice ed impalpabile.
Il piccolo Luca giocava sereno e quando si ritirava a casa si prendeva i rimproveri di mamma perché si era inzuppato di neve e poteva raffreddarsi. Ma erano rimproveri benevoli, che finivano sempre con un bacio.
Quell’anno tutte le regioni d’Italia, fino a quelle più estreme del meridione, furono imbiancate da uno spesso strato di neve, che cadde anche in Africa, sulle dune del deserto del Sahara. Un evento veramente eccezionale che durò per tutto il mese di febbraio e, dopo una pausa di una quindicina di giorni, riprese a marzo, classificando quell’anno come il più freddo della storia recente, anche se i record di temperatura minima appartengono con maggior frequenza al gennaio 1985, quando una massa d’aria gelida, proveniente dai Balcani, invase la nostra penisola per un paio di giorni.
Nel suo letto, zuppo di sudore, il giudice pensò a quei pomeriggi in cui doveva sbrigarsi a fare i compiti che gli aveva assegnato la maestra, per poi correre fuori a giocare con gli altri bambini della sua età. Cercò di ricordare i nomi di alcuni di loro: c’era Turi, che da grande era diventato giornalista e scrittore, Nino che poi fece il pasticciere e Filippo già destinato a fare il farmacista, perché quello era il lavoro di suo padre; e tanti altri. Quanti ricordi, dolci e confusi, passarono per qualche istante nella sua mente stanca!
Nel paese si conoscevano tutti e i bambini andavano sempre a giocare nel piazzale davanti alla Chiesa Madre e poi, non appena cominciava a farsi tardi, si riunivano tutti nella sede della “Democrazia Cristiana”: un grande salone dove nei periodi subito antecedenti le elezioni, i politici locali tenevano dei comizi al chiuso, mentre nei rimanenti periodi dell’anno era gestito dai notabili di quel partito.

In pratica quella sala era sempre a disposizione di quegli anziani, ritenuti politicamente fedelissimi, che stavano lì a giocare a carte e guardare la televisione. C’era uno di quei primi televisori che si videro in Italia a metà degli anni ’50, acquistato presso l’unico rivenditore che nella vicina città era riuscito ad accaparrarseli, il quale diceva con grande orgoglio, che lui li importava direttamente dall’America.
Era uno di quegli apparecchi grandi, pesanti, profondi e con lo schermo piccolo, al quale, come era di abitudine a quel tempo, si usava far costruire dal falegname del paese un mobile ad hoc per contenerlo. Quello situato nella sede della Democrazia Cristiana era di legno scuro, con le ante, che la sera, quando finivano i programmi ed appariva una antenna televisiva che scendeva e scompariva nella parte bassa dello schermo, si potevano chiudere per proteggere quel prezioso strumento tecnologico e custodirlo, oltre che dalla polvere e dagli urti accidentali, anche dagli sguardi dei curiosi del partito opposto, che sicuramente lo desideravano ma non erano ancora riusciti a raggiungere l’accordo, o la somma, per poterlo acquistare e finalmente vedere anche loro le notizie, i film e gli spettacoli che diventavano sempre più interessanti.
A volte entrava in quella sala anche il vecchio Parroco del paese, soprattutto quando c’era qualche intruso dell’altro partito, che lui conosceva bene, con il quale si soffermava a far due chiacchiere per sapere se, effettivamente, si era politicamente convertito oppure era venuto solo per curiosare. Spesso veniva il maresciallo dei Carabinieri, sempre ossequiato e riverito dagli adulti e scrutato con attenzione dai bambini, le cui mamme lo indicavano sempre come simbolo dell’autorità dello Stato e della severità della Legge. A volte passava anche il farmacista, un’altra delle figure eminenti di quei piccoli paesetti di provincia, ma lui non entrava mai dentro, come invece facevano gli altri che in quel modo approfittavano per ammirare quel gioiello della tecnica, lui si fermava sempre davanti alla porta perché il televisore lo aveva già comprato e lo aveva a casa, anche se non lo aveva mai detto a nessuno per evitare di avere troppe visite indiscrete.
In quella grande sala, arredata solamente con sei o sette file di sedie disposte davanti al televisore, gli amici dei notabili venivano a vedere il telegiornale ed il sabato sera, a turno secondo la capienza della sala, potevano portare tutta la famiglia per assistere ai programmi di quell’unico canale televisivo di cui l’Italia di allora disponeva. Si potevano seguire i primi spettacoli di varietà di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello o il gioco a quiz: “Il musichiere” presentato dall’indimenticato Mario Riva. I bambini invece erano ammessi tutti i giorni, ma solo fino all’ora di “Carosello”, poi tutti a casa, a chiedere alla mamma il formaggino di cui avevano visto la pubblicità e sentirsi dire che non c’era, perché costava troppo ed in paese non si trovava, per comprarlo bisognava prendere la corriera ed andare in città.
Così una mezz’ora prima che iniziasse il famoso programma pubblicitario, tutti i ragazzini arrivavano in quella sala come attratti dal miele e chiamavano a gran voce quel loro amico, che un giorno sarebbe diventato  un giudice, per fare come ogni sera, il loro gioco preferito: “Se avessi una bacchetta magica”.
Quel gioco scaturiva dal fatto che lui aveva una discreta conoscenza di geografia, trasmessa dal suo vicino di casa, l’avvocato Condorelli che la geografia l’aveva nel sangue, come una passione. La studiava anche di notte perché doveva presentarsi, su quella materia, a “Lascia o raddoppia”, una delle prime trasmissioni di Mike Bongiorno e spesso chiamava quel ragazzino per ripassarla e ripeterla a qualcuno. E il piccolo Luca partecipava interessato, in quanto gli piacevano tutte quelle notizie geografiche, per cui si era fatta una cultura sulle capitali di tutte le nazioni o sui fiumi più lunghi della terra, ben più vasta di quella che avevano i ragazzini della sua età.
Ma il nostro piccolo giudice era dotato anche di una straordinaria fantasia, che gli permetteva di sfruttare quelle nozioni che aveva imparato ed inventare viaggi immaginari, emozioni fantastiche e divertenti che egli riusciva a trasmettere con facilità ai suoi amichetti, rendendoli impazienti di partecipare ogni giorno ad avventure immaginarie e fantastiche, sempre diverse tra loro.
In quel momento lui diventava il leader di quel gruppo di bambini che, appena entravano, andavano subito a prendere un paio di sedie, le giravano per terra con la spalliera disposta in alto, in modo che diventassero delle piattaforme un po’ allungate, dove loro si sedevano a cavalcioni ed erano pronti a partecipare ogni sera ad un nuovo, fantastico viaggio.
Luca arrivava orgoglioso e pieno di sé, sentendosi grande rispetto a quei suoi coetanei che lo acclamavano. Si appoggiava, facendo finta di sedersi, sulla spalliera della prima sedia, che rappresentava per qui bambini una lunga fila di tappeti volanti ed iniziava il solito gioco: «Se avessi una bacchetta magica, oggi vi porterei a … Parigi. Ecco stiamo sorvolando la Senna, è proprio sotto di noi, attenti alla Torre Eiffel, potremo sbatterci e farci male, se state tutti raccolti vi faccio passare sotto l’Arco di Trionfo e lì in fondo potete vedere l’orologio della stazione dei treni che vengono dall’Italia».
Era un gran vociare fra tutti quei bambini, che si zittivano a vicenda per ascoltare le fantasie che lui raccontava di getto, attirando sempre il loro interesse ed anche l’attenzione dei vecchi, che facevano solo finta di essere infastiditi dall’inevitabile baccano che ne scaturiva, ma in fondo ascoltavano anche loro, con interesse, quelle improvvisate fantasie di un bambino che, dicevano con un pizzico di ammirazione, diventerà sicuramente qualcuno.

mercoledì 13 novembre 2013

Intervista di Salvatore Merra ad Alfio Giuffrida su “Quella notte al Giglio”

sito web Intervista di Salvatore Merra, Direttore Editoriale della “Sovera Edizioni”, ad Alfio Giuffrida, in occasione dell’undicesima fiera nazionale della piccola e media editoria “Più libri più liberi” (Roma, Palazzo dei Congressi, 6-9 dicembre 2012).
 

Merra: Dopo “Chicco e il Cane”, che ha commosso tutti i nostri lettori per il toccante destino di Molly e ci ha fatto riflettere sulla piccolezza degli uomini e la potenza del Creatore, ecco un altro romanzo: “Quella notte al Giglio”. Cosa hanno in comune?

Giuffrida: Con “Chicco e il Cane” ho voluto aprire un nuovo filone letterario, che il direttore del giornale on line “Meteoweb” ha chiamato “Verismo interattivo”, perché tratta di fatti assolutamente veri e perché da al lettore la possibilità di diventare egli stesso protagonista, partecipando alle discussioni che si aprono dalle sue pagine! A parte la storia di Chicco e Molly che costituisce la trama del romanzo, il libro ha posto in discussione un problema annoso: le interferenze mediatiche possono influenzare la Giustizia? Se subito dopo il sequestro di Emanuela Orlandi non fossero state rese pubbliche alcune notizie che dovevano essere riservate, forse oggi il caso poteva essere risolto? E la parabola della penna, carta e calamaio: chi è il vero Autore delle nostre azioni? Chi ci ha creato con un corpo e un’anima. Entrambi gli argomenti sono stati già oggetto di discussione su molti siti internet. E “Quella notte al Giglio” vuole continuare ad accendere i riflettori su nuovi argomenti, da discutere assieme ai lettori.

Merra: La tragedia della Costa Concordia fa da cornice all’amore di due coppie, quella italiana di Alex e Silvia e quella coreana di Park e Bae, questi ultimi in viaggio di nozze sulla nave. Le vicissitudini di Bae spingono Silvia prima e sentirsi in colpa verso di lei, poi addirittura ad innamorarsene. Ci si chiede fino a che punto possa o debba spingersi un’amicizia.

Giuffrida: Le due coppie vengono coinvolte in una intricatissima storia, imperniata sulla spettacolarità dell’inchino all’isola del Giglio e sulle conseguenze che quel gesto, pur se entusiasmante verso la clientela delle navi da crociera, può causare se effettuato senza la dovuta professionalità. Chiaramente questa riflessione è lo scopo principale per cui è stato scritto il libro. A questo ho voluto aggiungere qualche riflessione: il senso di dovere nell’aiutare un’amica in un suo momento di sconforto, può spingersi fino a mettere a repentaglio la propria armonia familiare? Una donna può innamorarsi di un’altra donna? E in tale caso, per un marito, il tradimento è più doloroso quando la moglie lo lascia per un altro uomo o quando lo lascia per un’altra donna?

Merra: Anche in questo romanzo, come nel precedente, il vero protagonista è un piccolo cane. In Chicco e il cane, uscito di recente, è la cagnetta Molly che fa emergere Chicco dall’autismo. Qui è Kim, il cagnolino della giovane sposina Bae, il quale muore tra atroci sofferenze nell’affondamento della Costa  Concordia.

Giuffrida: Il piccolo Kim rappresenta tutti i 4200 ospiti della nave. La sua dignità nel morire mi è servita per dare l’idea di come, in quei momenti, si possa soffrire in silenzio, senza pensare ad altro se non alla propria vita ed a quella delle persone a noi più care. Ed in questa dimostrazione di altruismo gli animali sono insuperabili. Se avessi descritto il caso di questa o di quell’altra persona, avrei peccato di parzialità, trascurando il fatto che il dolore, in una tragedia come quella della Costa Concordia, è generalizzato. Anzi direi che è esteso anche ai parenti delle vittime che, da casa, vivono ore di angoscia, non meno terribili di quelle vissute dai naufraghi in prima persona. Le figure della mamma e della sorella di Park, penso descrivano bene questa sofferenza. Inoltre ho voluto sollevare un altro problema: mi sono chiesto più volte perché gli animali da compagnia non sono ammessi sulle navi da crociera. Così, continuando nella mia ottica del “Verismo interattivo”, ho voluto innescare una discussione su questo argomento e sono in attesa di qualche risposta sul mio blog, che mi spieghi perché i cani diano fastidio sulle navi da crociera.

Merra: Nel romanzo vengono evidenziati vizi e virtù tipiche dell’uomo, egoismo, presunzione, viltà; all’opposto senso del dovere, altruismo e solidarietà.
Mi pare che sia soprattutto un inno alla solidarietà: tra partner, tra familiari, tra conoscenti e in particolare verso estranei bisognosi.

Giuffrida: Da soli non valiamo nulla, saremmo come degli esseri inanimati buttati per caso su questa Terra. La nostra vita dobbiamo viverla nella società con tutti i pregi ed i difetti che essa presenta. Ma è proprio nei momenti di bisogno che vengono fuori i nostri caratteri: si scopre chi è codardo e chi è eroe. Chi pensa solo a salvare la propria vita e chi è disposto a rischiarla per salvare il prossimo. Chi è in grado di affrontare le proprie responsabilità e chi fugge lasciando al loro destino le persone che si erano affidate a lui.

Merra: Alex è il nome di uno dei protagonisti maschili sia in Chicco e il cane che in Quella notte al Giglio. In più è un esperto meteorologo. Non può essere un puro caso.

Giuffrida: Molti dei miei lettori avranno pensato che nei miei racconti ci sia qualcosa di autobiografico. In effetti c’è solo il racconto di tutti quegli eventi, di cui sono stato spettatore nella  mia vita, nel mio lavoro o nella mia lunga esperienza di conferenziere in Italia e all’estero, che meritano di essere narrati. In Chicco e il cane è assolutamente vera la storia della cagnetta che tronava ad Ostia percorrendo la via del Mare. È vera la conferenza organizzata da Federasma e tanti altri particolari come il fatto di Tino sull’aereo o di Rita e la sua organizzazione che lotta per salvare gli animali abbandonati. In Quella notte al Giglio sono veri pressappoco tutti i fatti raccontati, compresa la descrizione della forgiatura del pugnale, dell’inchino all’isola di Procida e, purtroppo e soprattutto, anche di quello all’isola del Giglio!

Merra: C’è un senso ineluttabile del fato nel romanzo, coniugato alle virtù tipiche del cristiano che sono, a parte l’amore, la fede e la speranza. Si dà molto risalto a quest’ultima.

Giuffrida: Al liceo sono rimasto affascinato dalla lettura dei “Promessi Sposi”, dal suo modo realistico di raccontare gli eventi, che ho cercato di imitare nei mei romanzi. In esso c’è anche una sottile morale che il Manzoni vuole infondere nei propri lettori: la Provvidenza che guida sorregge le nostre azioni. Io ho voluto introdurre la Speranza in cui dobbiamo credere finché c’è vita nei nostri cuori o, in altri termini, la Fede nel sapere che le nostre azioni sono tutte effimere e c’è sempre Qualcuno sopra di noi che, se vuole, può sempre capovolgere, in meglio o in peggio, la nostra vita.

Merra: Aleggia l’ombra della malattia mentale sia in Chicco e il cane, dove è il protagonista eponimo Chicco, affetto da autismo infantile, sia in Quella notte al Giglio, dove la giovane coreana Shim, sorella di Park, mostra i sintomi di ritiro dovuti a una psicosi esordita in età giovanile. L’Autore mostra grande competenza e sensibilità.

Giuffrida: E’ il ringraziamento che ognuno di noi dovrebbe fare quando si guarda allo specchio e vede che sta bene. Di fronte alla salute tutto il resto è nulla, ricchezze, agi, problemi di lavoro e quant’altro ci sembra irrinunciabile, sono solo dei futili particolari. Le malattie che ho citato nei mei romanzi sono i soli e veri problemi della vita, le prove a cui il Signore ha voluto sottoporci per vedere e giudicare le nostre reazioni.

Merra: Il romanzo è anche una rivendicazione orgogliosa delle virtù del popolo italico, contro l’accusa infamante di codardia, mossa da un giornalista straniero.

Giuffrida: Quella frase: “Salga a bordo cazzo”, era diventata il triste ritornello in quei giorni incredibili, in cui tutti eravamo sempre più esterrefatti dal motivo che ha causato la tragedia. In quel periodo non passavano più di cinque minuti che quella frase non venisse riproposta, in Italia e all’estero, con qualsiasi mezzo: televisione, internet, giornali ed altro. Ma quel che è peggio, con sottile ironia, sembrava essere riferita non solo al Comandante Schettino, ma a tutti gli italiani. Questo è stato il motivo per cui DOVEVO scrivere questo libro! Non sta certo a me giudicare Schettino né come persona né come Comandante, c’è un procedimento penale in corso e, chi ha sbagliato, si spera pagherà con una pena commisurata ai suoi errori. Ma in quei giorni, soprattutto all’estero, erano tutti gli italiani ad essere sotto processo, tacciati da una infamia che sicuramente non meritiamo. Ma non è affatto così! Ecco perché in me è scattata “La rabbia e l'orgoglio”, come il titolo del famoso articolo, poi diventato un libro, di Oriana Fallaci, che mi ha imposto di mettermi a scrivere. Ad essere determinante è stata proprio una frase di quel libro: "Vi sono dei momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre".