sabato 17 settembre 2011

I climi al tempo degli Antichi Greci

I filosofi greci studiarono un pò di tutto, fra essi il famoso Talete di Mileto, vissuto dal 625 a.C. circa al 547 a.C., si è interessato di astronomia e di meteorologia. Egli attribuiva alla Luna una fondamentale importanza, ritenendo che il suo influsso condizionasse gli eventi della natura. Viaggiando in Egitto ed in Oriente, venne a conoscenza delle tavole astronomiche e degli strumenti babilonesi. Fu il primo ad ideare un Calendario Meteorologico, ad uso dei marinai, e riscosse grande fama riuscendo a prevedere l’eclisse solare del 585 a.C.
Anche Aristotele, fra gli antichi filosofi naturalisti, si è interessato della meteorologia e del clima.  Egli, nella sua opera “Meteorologia”, basandosi sulle conoscenze di allora, ebbe il merito di comprendere il fenomeno della condensazione del vapore acqueo e la formazione della rugiada.
Il termine climatologia ha origini molto antiche, esso infatti deriva dal greco “klima”, che significa “inclinazione” e “logos” significa "studio" .
Le differenti condizioni climatiche tra regioni diverse, così come il mutare delle stagioni in una località, sono legate infatti alla diversa inclinazione con la quale i raggi solari giungono sulla terra. Questa essenziale considerazione era stata resa possibile dall'osservazione dell'ombra degli oggetti: un palo piantato verticalmente nel terreno, alla stessa ora del giorno, in una stessa località, mostra un'ombra di lunghezza diversa nei vari mesi dell'anno.
I greci, che erano abituati a scrivere tutte le loro osservazioni, avevano così fissato un giorno in cui la lunghezza dell’ombra era minima e lo avevano chiamato solstizio d'estate, ed un giorno in cui era massima, detto solstizio d'inverno. Essi avevano inoltre notato che in località diverse, nello stesso giorno dell’anno e alla stessa ora, l’inclinazione dell’ombra era diversa.
I commercianti greci che già allora facevano lunghi viaggi, spesso spingendosi nelle città più lontane che sorgevano lungo il corso del Nilo, raccontavano di aver notato che lì le ombre erano più corte che nella loro madrepatria. In particolare, nella zona del basso Egitto, in alcuni giorni dell’anno, l’ombra del palo praticamente non esisteva. Inoltre in questi luoghi faceva generalmente più caldo che ad Atene. Adesso sappiamo che ciò è possibile nella zona di Assuan, che si trova ad una latitudine vicina al Tropico del Cancro.
Gli elementi che caratterizzavano il clima non erano tuttavia legati solamente alla latitudine: i greci sapevano bene che le zone montagnose erano più fredde di quelle pianeggianti. Inoltre, a parità di altitudine, le regioni della Macedonia, più lontane dal mare, in inverno erano più fredde di quelle attorno all’Olimpo, dove l’aria proveniente dal mare mitigava un po’ la rigidità del clima, mentre in estate tale differenza non era percepibile.
Tutte queste osservazioni, che prese separatamente possono sembrare solo delle curiosità, quando vengono studiate nel loro insieme forniscono degli elementi essenziali per differenziare le caratteristiche ambientali di ogni regione o, più precisamente, per individuarne il clima.
In questo modo era stata fatta una prima classificazione delle regioni allora conosciute. Procedendo da sud verso nord, erano state individuate sette regioni climatiche:
  1. Clima di Meroè (Zona dell’ Etiopia, famosa per la sua necropoli, vedi foto)
  2. Clima di Syène (Zona di Assuan)
  3. Clima di Alessandria (Zona del delta del Nilo)
  4. Clima di Rodi (Mediterraneo meridionale)
  5. Clima di Roma (Mediterraneo settentrionale)
  6. Clima del Ponto Eusino ( Zona del Mar Nero)
  7. Clima di Boristene (Zona del Dnieper)
Al giorno d’oggi gli elementi essenziali della climatologia sono stati fissati in modo più scientifico. Oltre la temperatura adesso usiamo altri parametri fisici, quali le precipitazioni o il grado di ventosità che interessano una località, tuttavia la catalogazione fatta dai Greci può essere considerata tuttora valida.
Il presente articolo è tratto dal testo: “Manuale di Meteorologia” di Alfio Giuffrida e Girolamo Sansosti.  

domenica 11 settembre 2011

Aridocultura

Si parla sempre più spesso di “aridocoltura”, ovvero l'insieme degli accorgimenti volti a consentire la coltivazione delle piantagioni commerciali in ambiente arido, cioè in assenza di irrigazione ed in presenza di precipitazioni minime.
I fattori fondamentali sono due: il primo è quello meteorologico che riguarda le quantità medie mensili di precipitazioni e la loro distribuzione durante i vari periodi dell’anno. L’altro è quello fisico del terreno, cioè la sua capacità di trattenere l’acqua ed i sali minerali di cui dovranno nutrirsi le piante.
Per quanto riguarda il fattore meteorologico occorre distinguere due casi: se le precipitazioni sono distribuite uniformemente su tutto l’anno, si deve pensare a delle coltivazioni stabili, che richiedano tuttavia una quantità minima di acqua. Se invece le precipitazioni sono concentrate in una sola stagione, le coltivazioni possibili sono solamente quelle che hanno un ciclo stagionale, lasciando inutilizzato il terreno nel restante periodo dell’anno.
È importante inoltre tenere conto della temperatura durante la fase di crescita delle piante, poiché essa è un fattore determinante per il periodo della maturazione.
Anche il vento ha la sua importanza, in quanto accelera l’evaporazione dell’acqua presente nei terreni porosi e, in presenza di sabbia costringe gli agricoltori a costruire degli sbarramenti per evitare che le coltivazioni siano ricoperte di sabbia.
Riguardo la consistenza del terreno, l'aridocoltura offre i migliori risultati sui terreni argillosi, in grado d'invasare e conservare grandi quantitativi d'acqua. Al contrario, i terreni sciolti sono poco adatti all'aridocoltura, in quanto l'elevata porosità di un terreno sabbioso permette di invasare cospicui quantitativi d'acqua, che tuttavia si perdono in poche ore a causa della percolazione profonda. Sono stati sperimentati numerosi interventi tecnici volti ad incrementare la conservazione dell’acqua nel terreno e contenere l'intensità di evapotraspirazione.
Alla fine degli anni ’70 è stato coniato il termine “permacoltura”, una contrazione di “agricoltura permanente”, per indicare un insieme di ricerche volte a permettere la coltivazione del terreno in qualsiasi condizione climatica.
Uno dei progetti nati in tale ambito ha creato una sabbia impermeabile idrofoba che si può stendere direttamente sotto forma di fogli al di sotto della sabbia del deserto. Essa permette la crescita delle piante anche nei climi più aridi. Nelle regioni meridionali dell’Israele, dove le quantità di pioggia sono molto basse e la temperatura media ad agosto è di 50°C, un esperimento di “permacultura” ha già dimostrato che si può far crescere alberi da frutto nel deserto .
Il Sahara Forest Project è un altro progetto innovativo che combina in sè, la forza delle moderne tecnologie ambientali e l'utilizzo di serre ad acqua marina. L'obiettivo è quello di trovare una soluzione ecosostenibile per affrontare l'attuale allarmante situazione economica dei Paesi in via di sviluppo.
In Libia è già operativo il “Great Man- Made River Project”: un fiume artificiale consistente in una rete di tubi sotterranei, che portano in superficie enormi quantità di acqua fresca sotterranea, aumentando notevolmente le superfici arabili del paese.
Una fantasiosa sintesi dei due progetti accennati sopra è descritta nel libro “Deserto Verde”, di Alfio Giuffrida, nel quale si ipotizza di creare un’oasi nel deserto creando delle “vasche” con teli impermeabili che poi vengono riempite con un misto di sabbia locale e terra trasportata dall’Italia. L’irrigazione verrebbe invece assicurata con l’allagamento di parte dello Chott el Jerid (il lago sotto il vello del mare che si trova nella parte meridionale della Tunisia, asciutto nella maggior parte dell’anno) e dei dissalatori di acqua di mare.
  



L’atmosfera terrestre

La terra ha una forma quasi sferica, con un raggio medio di circa 6370 Km.
Essa è circondata da un involucro gassoso, detto atmosfera, che la avvolge completamente dal suolo, dove ha una densità abbastanza elevata, fino a disperdersi verso lo spazio interplanetario.
Tuttavia la quasi totalità dell’atmosfera (circa il 99%) è compresa nei primi 100 Km. Essa ha una composizione omogenea (Azoto 78%, Ossigeno 21%, Argon ed Anidride carbonica < 1%, tracce di idrogeno, elio e neon).
Oltre a questi componenti fissi, ce ne sono altri tre che potremmo chiamare variabili, in quanto si trovano solo in determinati strati dell’atmosfera. Essi sono: il vapore acqueo, il pulviscolo atmosferico e l’ozono.
Il vapore acqueo si trova solo nella troposfera, in una percentuale molto variabile (tra 0 e 4%) con il suo valore massimo nelle zone dove è presente una nube.
Il pulviscolo atmosferico si trova tra il suolo e 3 km, in percentuale molto bassa, ed è responsabile della formazione delle nubi.
L’ozono si trova tra 25 e 70 km e, poiché a quelle altezze la densità dell’atmosfera è molto bassa, la sua percentuale sul totale è trascurabile.
L’atmosfera può essere divisa in vari strati, il primo, detto troposfera, è caratterizzato da una temperatura decrescente con l’altezza, segue la stratosfera, caratterizzata da una temperatura che aumenta con la quota e quindi impedisce i moti convettivi. Esternamente esistono altri strati, che chiameremo semplicemente strati esterni in quanto non hanno influenza sui fenomeni atmosferici.
La troposfera comprende, in peso, oltre i due terzi dell’atmosfera, essa ha uno spessore variabile tra 7 Km ai poli e 20 Km all’equatore, in essa avvengono i principali movimenti delle masse d’aria. Vedi figura 1.
Rispetto alle dimensioni del pianeta, l’atmosfera rappresenta una sottilissima pellicola. Basti pensare al rapporto tra il raggio terrestre (6.370 km) in confronto allo spessore dell’atmosfera (100 km). Per fare un paragone, è più sottile della buccia di una mela rispetto alla stessa mela. Eppure questo sottilissimo strato protettivo ha un enorme valore, in quanto solo grazie ad esso è possibile la vita sulla Terra.

Nella troposfera, a causa del riscaldamento dal basso, si generano i moti convettivi, che operano un rimescolamento di tutta l'aria in questo strato, generando correnti sia  orizzontali che verticali. Sono proprio i movimenti verticali che determinano i fenomeni atmosferici come la pioggia, la neve, ecc. Il tempo meteorologico si svolge tutto e d esclusivamente nella troposfera.

La meteorologia dinamica, è la disciplina delle Scienze dell'Atmosfera che si occupa di studiare fenomeni inerenti alla dinamica dell'atmosfera terrestre su scale temporali che vanno da poche ore (nowcasting) fino a cinque giorni (previsioni deterministiche, quelle che vediamo in TV). Esistono poi delle altre equazioni, che fanno uso principalmente della statistica, le quali riescono a dare delle previsioni di massima anche oltre  i dieci giorni.

Il motore dei moti atmosferici è il riscaldamento solare. La differenza di temperatura tra riscaldamento che avviene nella fascia tropicale e il raffreddamento che avviene nelle zone polari determina alcuni meccanismi chiave nella dinamica atmosferica.

Questo articolo ha un contenuto scientifico elevato, spero che il linguaggio sia abbastanza semplice per renderlo comprensibile a tutti i lettori. Se avete dei dubbi non esitate a chiedere qualche chiarimento.



Il Diluvio Universale

Tra gli eventi meteorologici di rilievo che si sono verificati nel passato, il Diluvio Universale è senz’altro quello che merita il maggiore interesse storico, sia per l’importanza e la vastità che esso ha avuto, sia perché è stato narrato, da persone diverse ma con le stesse caratteristiche, nel più importante dei libri: la Bibbia.
Nel primo libro della Bibbia, la Genesi, il diluvio viene descritto nei minimi particolari e viene data la spiegazione di come esso si sia verificato per volontà del Signore, che in questo modo ha voluto punire la “corruzione umana”.
Il versetto 6.13 dice: “Allora Dio disse a Noè: Mi son deciso, la fine di tutti i mortali è arrivata …” e continua (versetto 7.11): “nell’anno seicentesimo della vita di Noè, nel secondo mese, nel diciassettesimo giorno … le cataratte del cielo si aprirono”.
Già, proprio il giorno diciassette segna l’inizio del Diluvio Universale, questo, secondo l’opinione più accreditata, è il motivo per cui, nella cultura mediterranea, il numero 17 porta sfortuna.
Continuando a leggere la Bibbia, al versetto 7.17 troviamo scritto che “Il diluvio venne sopra la Terra per quaranta giorni …. Così fu sterminata ogni creatura esistente sulla faccia del suolo”.
Ma se le piogge durarono incessantemente per quaranta giorni, le acque coprirono completamente la Terra per ben cinque mesi, come è scritto in un altro versetto della Bibbia e fu solo alla fine del settimo mese di alluvione che “apparirono le vette dei monti” e Noè (versetto 8.10) “ rilasciò la colomba fuori dall’arca e …. tornò con una foglia di ulivo …”.
Da altre fonti storiche sappiamo che nel 2350 a.C. in Mesopotamia, Re Sargon nel suo immenso palazzo reale a Ninive realizzò una enorme biblioteca di tavolette di argilla. Essa tuttavia andò quasi tutta distrutta e quel poco che rimase fu sepolta dalla sabbia.
Grazie agli scavi effettuati in tempi recenti, tra le 10.000 tavolette (oggi tutte visibili al Louvre di Parigi e in altri musei) gli archeologi hanno recuperato il “Poema di Gilgamesh”, un racconto simile alla nostra “Odissea”, ma più ricca di notizie storiche, tanto da poter essere paragonato alla Bibbia. In esso si narra di un eroe, simile ad Ulisse, anch’egli celebre per i suoi viaggi nelle terre allora conosciute. Il poema quindi, scritto secondo i ricordi sumerici, costituisce la controparte del racconto biblico del diluvio, in lingua babilonese e assira.
Durante uno di questi lunghi viaggi Gilgamesh incontra un vegliardo scampato ad un terrificante diluvio perché, allo stesso modo di Noè, si era costruito un’arca. I due racconti coincidono in molti particolari, per cui possiamo dedurre che, essendo stati scritti da autori diversi, che sicuramente con si conoscevano tra di loro, costituiscono la traccia storica di un evento realmente accaduto.
Al di la della narrazione Biblica, la pianura della Mesopotamia è effettivamente soggetta a grandi alluvioni, che possono essere causate sia da piogge torrenziali, sia dall’improvviso scioglimento, in primavera, delle nevi che si formano abbondanti sui rilievi del Caucaso.
Carotaggi del terreno hanno messo in evidenza vari strati di terreno sedimentario, attribuibili a numerose alluvioni avvenute nella preistoria. Tra essi, uno è molto più spesso degli altri e la sua formazione si può far risalire ad un periodo tra 10.000 e 5.000 anni prima di Cristo, quindi compatibile con il racconto biblico.
Al giorno d’oggi tuttavia si sta vagliando un’altra ipotesi, basata sul fatto che l'ultimo spostamento accertato dell'asse terrestre, che sarebbe la conseguenza della caduta di un asteroide, si è verificato tra 10.000 e 13.000 anni fa, una data compatibile con il Diluvio Universale. In questo modo si avrebbe traccia di un cataclisma di proporzioni ancora più ampie delle forti piogge, che ha causato eventi naturali come terremoti, maremoti, sollevamenti e abbassamenti della crosta terrestre che, tutti insieme, hanno provocato enormi inondazioni sul nostro pianeta.
Secondo tale ipotesi si ritiene che un enorme asteroide sia caduto in quello che oggi è il Mar Nero, provocando una tracimazione dell’acqua contenuta in esso, in modo simile a quanto avvenne il 9 Ottobre 1963 nella diga del Vajont. Altre notizie di carattere climatico si trovano su “Manuale di Meteorlogia”, di Alfio Giuffrida e Girolamo Sansosti.



Il clima di Agosto

Agosto, assieme a luglio, è un mese tipico dell’estate mediterranea, caratterizzata da temperature elevate su tutto il nostro territorio, con temporali pomeridiani al nord e siccità al sud.
L’elemento principale che determina questo clima è la distribuzione della pressione atmosferica su tutta la Terra, che in questo periodo presenta, statisticamente, dei valori notevolmente più alti rispetto alla media nella zona dell’Oceano Atlantico settentrionale. Questa conformazione si presenta in forma stabile nel periodo di luglio ed agosto di  ogni anno e per la posizione in cui si trova è detta “Anticiclone delle Azzorre”.
Nella prima parte del mese le temperature sono molto elevate, soprattutto al sud, per tre motivi:
- i raggi solari arrivano al suolo quasi perpendicolarmente, a causa della latitudine;
- il numero di ore di soleggiamento è elevato in quanto il cielo è quasi costantemente sereno, specie al sud, mentre al nord, nel pomeriggio, si hanno molte nubi e spesso degli acquazzoni;
- la pressione atmosferica è più alta della media annuale, a causa della maggior influenza dell’anticlone delle Azzorre e di conseguenza i movimenti verticali nell’atmosfera sono principalmente discendenti, con conseguente riscaldamento dell’aria per compressione adiabatica.
Nella prima decade del mese spesso si verificano i massimi valori annuali (ad es. a Bari si sono avuti 44.8°C nel 1994). Le ondate di calore sono frequenti e spesso nelle città si ha un elevato indice di disagio climatico a causa dell’afa che blocca la sudorazione ed impedisce al nostro organismo di svolgere la sua azione di auto regolazione termica, che invece svolge con successo quando l’aria è più secca e ventilata. Tuttavia, in media, le temperature sono comprese tra 25° e 32°C nelle ore diurne e tra 18° e 24°C nelle ore notturne.
Le precipitazioni hanno invece un diverso andamento: al nord il forte riscaldamento del suolo e la forte umidità presente sulla Pianura Padana, innescano dei movimenti verticali nell’atmosfera che portano alla formazione dei cumulonembi, per cui, dal primo pomeriggio fino alla sera si ha frequentemente la formazione di violenti temporali.
Al sud invece l’assenza di vasti terreni carichi di umidità e la maggior presenza di venti discendenti ostacolano notevolmente la formazione dei temporali.
Nella seconda parte del mese l’influenza dell’anticiclone delle Azzorre comincia ad entrare nella sua fase discendente e la fascia dove scorrono le perturbazioni sull’Europa centrale si abbassa di latitudine, fino a sfiorare le Alpi. Le temperature cominciano a diminuire e le ondate di calore sono sempre più rare o inesistenti, in ogni caso non riescono a creare delle vere e proprie condizioni di disagio.
Le precipitazioni sono caratterizzate dalla cosiddetta”burrasca di ferragosto”, una tipica perturbazione frontale che si verifica attorno a quella data, con un alto indice di persistenza.
Essa ha una breve durata, in media da 1 a 2 giorni, dopodiché le caratteristiche dell’estate riprendono a manifestarsi, anche se il tempo comincia a diventare variabile e, in media, entro la fine del mese si ha il passaggio di un’altra  perturbazione, che colpisce più sensibilmente le regioni settentrionali e quelle del versante adriatico, ponendo fine alla siccità estiva anche nelle regioni interessate dall’estate mediterranea.
Ad agosto i venti sono deboli nell’entroterra, mentre lungo le coste si presentano a regime di brezza, con temporanei rinforzi provenienti dal mare ad iniziare dalle prime ore del pomeriggio fino al tramonto del sole.
I mari sono calmi o poco mossi, anche se nell’ultima parte del mese sul Mar Ligure e sul Mare di Sardegna si hanno dei notevoli rinforzi da ovest.
Nelle foto, la posizione dell’anticiclone delle Azzorre nel mese di agosto ed un temporale nel Triveneto, tipico di questo periodo.