sabato 30 luglio 2011

Il deserto

Il primo impatto che questa parola suscita nella nostra mente è la solitudine, qualcosa di nessun interesse e sicuramente da evitare. Eppure, pensando alle spettacolari immagini di un tramonto sul deserto, o alle lunghe file di cammelli che potrebbero stagliarsi all’orizzonte, ci sentiamo attratti da questo luogo. Per molti potrebbe essere una sfida o uno sport: la possibilità di attraversarlo, almeno in parte, a dorso di cammello o la Parigi Dakar, stimola sempre la nostra mente e ci fa sognare.
Chi ha letto il libro “Deserto Verde” di Alfio Giuffrida, sarà rimasto sicuramente attratto dai paesaggi descritti, dai Tuareg, le carismatiche popolazioni che riescono a viverci dentro, severe nel volto e nelle abitudini, dalla Fata Morgana o dall’avventurosa fuga di Tarek il quale percorre tutto il deserto del Sahara braccato dalla polizia, che alla fine riesce ad intercettarlo con un esercito di cammelli che lo circonda e lo blocca. Ma lui riesce a fuggire in moto, attraversando le dune con il suo ostaggio legato dietro la schiena.
Dal punto di vista orografico, un deserto è una vasta zona disabitata, con il suolo arido e precipitazioni scarse ed occasionali, comunque inferiori ai 250 mm annui. Spesso i deserti si trovano vicino a catene montuose che ostacolano la formazione di nubi e pioggia. La fauna e la flora sono pressoché assenti o molto scarse. La conformazione geologica, dovuta in prevalenza all'azione erosiva del vento, può essere di differenti tipologie. Ci sono i deserti di sabbia, chiamati erg, quelli rocciosi, detti hammada, o quelli costituiti prevalentemente di ciottoli, i deserti serir.
Si possono distinguere in caldi e freddi. Il deserto caldo ha un'atmosfera povera di umidità, è situato nella zona torrida e solitamente è caratterizzato da alta pressione e da un'ampia escursione termica: la temperatura, molto alta di giorno, nelle ore notturne si abbassa notevolmente.
Proprio l'escursione termica è responsabile del disgregamento delle rocce e della mancanza di vegetazione, in quanto le piante, che pure riescono ad adattarsi ai forti sbalzi termici tra estate e inverno, abbassando la loro temperatura tramite delle grandi foglie, che permettono una notevole evaporazione nelle stagioni calde, mentre durante il periodo freddo fanno cadere le foglie e rimangono in una situazione simile al letargo di alcune specie animali, nulla possono nel deserto, dove le forti escursioni termiche avvengono nell’arco di una giornata e questo procedimento non può essere realizzato in così breve tempo. L'evaporazione in queste aree è molto forte: solo i fiumi che trasportano grandi volumi d'acqua, come il Nilo o il Colorado, sono in grado di attraversarle.
Ma il deserto non è solo sabbia o rocce erose dal sole. Questa idea è ormai radicata nella nostra mente per via del Sahara e della penisola araba, che forse sono le zone desertiche più conosciute.
In effetti i più vasti “deserti” sono quelli polari: l’Antartide e l’Artide sono i maggiori del mondo (vedi il sito http://it.wikipedia.org/wiki/Deserti_pi%C3%B9_grandi_del_mondo). 
I deserti freddi, invece, si sviluppano nelle regioni lontane dagli oceani e nelle zone più settentrionali dell'emisfero boreale, come il deserto del Gobi in Asia e il “Gran Bacino” sulle Montagne rocciose in America del nord. Nell’emisfero sud, abbiamo invece quello della Patagonia in America. Anche la fascia centrale dell’Asia è costellata di deserti, in genere freddi, molti dei quali sono compresi nel vasto altopiano del Tibet. Il clima rigido fa sì che la vegetazione si riduca a licheni e muschi. Qui l'umidità non è bassa e le precipitazioni avvengono in forma di neve.
Va infine ricordato che esistono anche deserti costieri, come quello della Namibia in Africa, o quello di Atacama in Cile, forse il deserto più arido del mondo. 





Le nubi

Quante volte, guardando il cielo, abbiamo osservato le nubi che ci hanno affascinato con le loro forme cangianti, a volte strane, a forma di qualche animale o di qualche oggetto familiare? Quante volte le abbiamo osservate con un senso di rispetto o anche di paura, per la loro dimensione imponente o per il loro tuoneggiare?
Le nubi hanno una grande variabilità di forma, altezza e contenuto di acqua. L’atmosfera in genere contiene una piccola quantità di vapore acqueo allo stato gassoso. Tuttavia, finchè l’acqua contenuta nell’aria si trova tutta nello stato gassoso, l’atmosfera stessa è perfettamente trasparente.
Le nubi si formano quando il vapore acqueo, in una porzione di atmosfera, supera la quantità massima che l’aria può contenere. Questa quantità dipende molto dalla temperatura dell’aria: quando l’aria è calda può contenere una grande quantità di vapore acqueo, quando è fredda, ne può contenere una quantità sempre più piccola.
Cosa accade quindi quando l’aria si raffredda? Il vapore acqueo in più rispetto al massimo consentito condensa in goccioline di acqua allo stato liquido, formando le nubi. Il modo più comune di raffreddare una massa d’aria è quello di spostarla verso l’alto, in quanto, come abbiamo avuto modo di constatare in moltissime occasioni, in quota fa più freddo che al livello del mare. In sintesi possiamo dire che le nubi si formano quando l’aria umida si sposta dagli strati più bassi dell’atmosfera verso quelli più alti.
A questo punto ci viene la curiosità e ci chiediamo: che cosa spinge l’aria a muoversi verso l’alto? I motivi principali sono due: i movimenti orizzontali delle masse d’aria e le differenze di temperatura che si generano su un terreno.
Nel primo caso parliamo delle nubi frontali, la cui formazione è dovuta allo spostamento delle masse d’aria in senso orizzontale. Poiché una massa d’aria non si mescola facilmente con quella che incontra nel suo percorso, essa è costretta a scorrervi sopra o incunearvisi sotto, a seconda che la sua temperatura sia più alta o più bassa di quella della massa d’aria che incontra. Nel primo caso si ottiene un sollevamento della massa d’aria che avanza, nel secondo un sollevamento di quella preesistente. In entrambe le situazioni si ha la formazione delle nubi.
Il secondo caso è quelle delle cosiddette “nubi termoconvettive”, che sono dovute al sollevamento che avviene quando una massa d’aria vicina al suolo si riscalda di più rispetto alle zone circostanti. In questo caso l’aria più calda diventa più leggera e sale in quota velocemente, raffreddandosi e condensando in gocce di pioggia che in breve tempo diventano ghiaccio perché al di sopra di una certa quota la temperatura è sempre negativa. In questo caso il raffreddamento avviene molto velocemente e la nube è in grado di generare fenomeni violenti come i temporali, la grandine o i fulmini. Le nubi di questo tipo sono naturalmente le più imponenti e spettacolari.
Le tre foto che seguono mostrano rispettivamente:
  1. Un “cumulonembus incus”, lo stadio finale del cumulonembo. È una nube termo convettiva che si estende da 200 – 300 metri fino a 12.000 metri di altezza e genera violenti temporali.
  2. Un fulmine all’interno di un cumulonembo. A volte i fulmini possono formarsi anche all’interno di  una stessa nube, anzicchè tra tube e suolo, come di solito avviene.
  3. Un arcobaleno con, sullo sfondo il cumulonembo che, pochi minuti prima, ha scatenato un forte temporale.

La Corrente del Golfo

La visione del film “The day after Tomorrow”, ha lasciato molte persone con il fiato sospeso. Oltretutto la gente è rimasta sorpresa dall’ipotesi di un nuovo periodo glaciale, quando da ogni parte si parla di un riscaldamento ambientale che affligge il nostro pianeta. A prima vista sembra un nonsenso, ma non è così!
Nel film, il professor Jack Hall, specialista in paleo-climatologia, si rende conto che il riscaldamento dell’atmosfera potrebbe innescare un improvviso e catastrofico cambiamento del clima sul nostro pianeta. La sua teoria non viene creduta, ma la catastrofe climatica inizia e Hall si ritrova a capo di un manipolo di superstiti alla glaciazione.
Esaminiamo, in forma molto semplificata, i principi fisici di questa teoria.
La Corrente del Golfo, che parte dal Mar dei Caraibi e arriva fino alle coste della Norvegia, trasporta una enorme quantità di calore, per intenderci, qualche migliaio di volte quello prodotto artificialmente, tramite i riscaldamenti domestici, in una nazione quale potrebbe essere la Gran Bretagna.
Il “motore” che spinge l’acqua dell’oceano a muoversi dal golfo dei Caraibi fino alla Groenlandia si trova soprattutto al nord, nella linea di confine tra il mare ed il fronte dei ghiacci artici.
Durante il suo percorso questa massa di acqua calda, che viaggia in superficie, evapora e diventa sempre più salata finché, arrivata in Scandinavia, incontra un'acqua più fredda e dolce.
L’acqua salata, essendo più pesante dell’acqua circostante precipita verso il fondo del mare, che nella zona tra la Groenlandia e la Norvegia è molto profondo. In questo modo si innesca una corrente discendente che provoca un forte richiamo di altra acqua superficiale, formando una “pompa” perenne di enorme potenza.
Sul piano orizzontale, si ha quindi una fascia piuttosto ristretta in cui la corrente si ferma, mentre l’acqua salata si inabissa cominciando, in profondità, il viaggio di ritorno verso i tropici.
Il riscaldamento globale dell’atmosfera sposterà il fronte dei ghiacciai polari verso Nord.
Di conseguenza, la fascia dove avviene il rimescolamento dell’acqua calda e fortemente salata della Corrente del Golfo, che scorre in superficie, con quella, quasi dolce, dei mari del nord, avverrà lontano dai tratti di mare profondi tra la Groenlandia e la Norvegia. La corrente verticale discendente si formerà quindi dove l’oceano è meno profondo e questo fatto determinerà una sostanziale riduzione della forza della “pompa salina” di cui abbiamo accennato. Ciò potrà provocare una forte riduzione della portata d’acqua della Corrente del Golfo o addirittura la sua scomparsa.
Analizziamo inoltre un altro fattore: alle nostre latitudini, i venti prevalenti sono da ovest, per cui la massa d’aria che arriva sul continente europeo, attraversando l’oceano atlantico che è riscaldato dalla corrente del golfo, è più calda di quella che interessa le coste del Labrador, che si trova alla stessa latitudine, dall’altra parte dell’oceano. Questo è il motivo per cui l’Europa ha inverni più miti di quelli canadesi.
Se la Corrente del Golfo, per un motivo qualsiasi, si fermasse, l’impatto climatico che si verificherebbe sul continente europeo sarebbe enorme. Le temperature delle coste dell’Irlanda e della Gran Gretagna si porterebbero a valori uguali a quelli del Labrador, che sono circa 7°C inferiori a quelle delle coste europee, a parità di latitudine.
L’ipotesi formulata dal professor Hall ha quindi un fondamento scientifico, anche se gli effetti più vistosi non sarebbero sulla città di New York o comunque sulle coste dell’America, ma su quelle europee. Dobbiamo quindi aspettarci che le drammatiche scene di quel film diventino presto realtà? Chi può dirlo? I cambiamenti climatici sono sempre avvenuti ed avverranno anche in futuro, ma impiegano secoli o addirittura millenni per realizzarsi. L’uomo ha una vita troppo breve per accorgesi di essi durante la sua esistenza, o almeno, speriamo che quest’ultima teoria sia sempre valida!
 

lunedì 11 luglio 2011

Titolo: Il Clima di Luglio in Italia

Luglio, in Italia, è il mese estivo per eccellenza. Le perturbazioni scorrono sull’Europa centro settentrionale, a nord delle Alpi, che proteggono il nostro territorio dalle infiltrazioni di aria instabile e dalle precipitazioni di origine frontale.
Su tutta la zona che va dall’Oceano Atlantico al Mare Egeo predomina una vasta area di alta pressione, detta “anticiclone delle Azzorre”, che genera condizioni di bel tempo sulle Nazioni che si affacciano sul Mar Mediterraneo. 
Nella prima parte del periodo le temperature sono ancora in aumento, anche se già i valori massimi, che si verificano attorno alle due di pomeriggio, superano quasi sempre i 30°C. Di notte, grazie al cielo sereno, le temperature diminuiscono un po’, permettendo di stare anche a maniche corte, ma senza soffrire per il caldo intenso. A Roma, le ore serali sono le migliori per fare delle passeggiate a piedi e scoprire la città.
Le precipitazioni sono scarse, tuttavia al nord, a causa del forte riscaldamento del suolo e della grande quantità di umidità presente sulla Pianura Padana, si formano spesso dei temporali nelle ore pomeridiane, soprattutto quando l’aria umida è spinta verso le catene montuose, che favoriscono la formazione dei cumulonembi: le imponenti nubi che danno origine ai temporali. Al centro e al sud prevale il clima mediterraneo, caratterizzato da scarse precipitazioni, anche se sui rilievi non sono da escludersi delle isolate manifestazioni temporalesche nelle ore pomeridiane.
La seconda parte del mese coincide, statisticamente, con il periodo più caldo dell’anno. Di giorno le temperature sono sempre superiori ai 30°C ed in alcune occasioni di venti da sud, raggiungono facilmente i 40°C, soprattutto al sud.
I venti deboli e la grande quantità di umidità presente nell’aria, favoriscono la formazione dell’afa, specie nelle città. All’aperto si suda abbondantemente, soprattutto se si è in movimento, per cui è buona abitudine portare sempre con se una bottiglietta di acqua e bere spesso, in modo da non correre il rischio di disidratazione. Se possibile e bene stare all’ombra, o almeno indossare un leggero berretto.
Le precipitazioni sono ancora temporalesche al nord, soprattutto sui rilievi alpini e nel Friuli, dove avvengono con frequenza pressappoco giornaliera. Una curiosità: la quantità di acqua che cade al suolo durante un temporale, mediamente supera i quattro milioni di metri cubi. Se si volesse trasportala con delle autocisterne, ne occorrerebbero  oltre 130.000 che, messe in fila su una autostrada, formerebbero una coda ininterrotta da Milano a Reggio Calabria. Tale curiosità è riportata nel libro “L’Anno del Niño”, di Alfio Giuffrida.
Al centro e al sud si hanno solamente degli acquazzoni sulle catene montuose, anche se in genere, nell’ultima settimana del mese,  si ha il passaggio di qualche perturbazione sulle regioni tirreniche. Sulle due isole maggiori le precipitazioni sono quasi totalmente assenti.
I venti sono generalmente deboli di direzione variabile, ma lungo le coste si ha la formazione della brezza, soprattutto nelle ore pomeridiane. I mari sono calmi o quasi calmi, con aumento del moto ondoso nelle ore del pomeriggio.
A luglio, tra le piante grasse, fiorisce la “Parodia aureispina”, che ha delle bellissime foglie di colore giallo intenso.  La foto è tratta dal blog http://alphecca.blogspot.com/
Alfio Giuffrida

sabato 9 luglio 2011

L’Anno del Niño - La teoria del complotto.

Alberto usava con fiducia il modello matematico che Francesco aveva modificato per adattarlo alle sue idee. Questo modello era diverso ed indipendente da quelli che erano stati usati finora negli Stati Uniti per simulare l’evoluzione futura dell’oscillazione meridionale e molto più semplice degli altri. Con esso scoprì che nel successivo periodo invernale, si sarebbe verificata una forte diminuzione della velocità della corrente ascensionale, addirittura una inversione  nei valori della pressione tra Darwin e Tahiti, il che significava che il fenomeno del Niño avrebbe avuto valori particolarmente intensi, superiori all’evento del 1982-83. Si poteva quindi prevedere un nuovo periodo disastroso per la pesca in Ecuador ed in tutta l’America Latina, inoltre, se fosse stata vera la teoria della globalizzazione su tutta la Terra del fenomeno, potevano aversi delle ripercussioni in zone molto lontane, come il Sahel o anche l’Europa. Il modello di Alberto era molto semplice, eppure i valori previsti erano del tutto coincidenti con quelli di altri ricercatori statunitensi, che sostenevano l’arrivo di un forte evento del Niño per l’inverno 1997-98, mentre altri scienziati sostenevano che l’episodio sarebbe stato di bassa entità.



Navigando su internet, che in quel periodo rappresentava la novità per effettuare delle ricerche, Alberto aveva capito che sul Niño e sul fatto che esso fosse un fenomeno globale, si erano fatte troppe discussioni, alcune di carattere fisco, altre di carattere sociale.

Un gruppo di giornalisti aveva fatto l’ipotesi che il fenomeno del Niño potesse essere collegato alla “teoria del complotto”, un insieme di ipotesi secondo le quali i maggiori eventi che si verificavano sulla Terra potevano essere provocati “ad hoc” dalle maggiori potenze con lo scopo di recare gravi danni alla parte avversaria. Pur non avendo alcun fondamento scientifico, tale teoria aveva avuto molti seguaci nei primi anni ’70, quando la politica era diventata l’argomento di carattere sociale più discusso tra i giovani. In quel periodo tutti si sentivano esperti sugli argomenti più complessi, forti delle discussioni che si facevano a scuola durante le occupazioni dell’istituto, durante le quali i più facinorosi, millantandosi “intellettuali”, si inventavano le cose più strane, ne parlavano nelle “assemblee degli studenti” atteggiandosi a professoroni, e tutti li ascoltavano, credevano alle loro belle parole e ne sfornavano versioni sempre più sofisticate e colorite, sentendosi a loro volta dei professori. Erano i postumi del ’68, gli anni che gran parte dei ragazzi dell’epoca ricordano come i più belli della loro vita, forse perché si dicevano le cose spensieratamente, senza verificarle o ragionarci sopra. Così, in quel periodo, era andata in voga la teoria del complotto (o della cospirazione), ovvero una teoria che attribuisce la causa ultima di un evento o di una catena di eventi (in genere politici, sociali o naturali) ad un complotto o cospirazione. Il termine include un'ampia classe di teorie, dall’avvistamento degli UFO, alle collusioni tra i politici di tutto il mondo ed organizzazioni mafiose internazionali. Una enorme sequenza di teorie, con un'ampia gamma di plausibilità, alcune riconosciute attendibili e dimostratesi fondate, altre estreme ed altamente improbabili.
Secondo un gruppo di giornalisti, il 4 febbraio del 1983 sarebbe stato registrato un forte flusso di


“onde a bassissima frequenza”, inviate dagli americani, che sarebbero entrate in contatto con “onde stazionarie” emesse dai sovietici. Ciò avrebbe provocato il Niño del 1982-833, che portò forte siccità nel Sahel e in Australia e piogge diluviali in Perù. Il tutto, secondo loro faceva parte di una strategia iniziata al tempo di Lenin, che aveva lo scopo di riscaldare il clima della Siberia e svilupparvi delle coltivazioni.

Un’altra teoria, basata invece su solide basi scientifiche, ma anch’essa di grande impatto nel mondo sociale, era quella che faceva capo alla natura caotica dell'atmosfera.
Edward Norton Lorenz fu un matematico statunitense noto per essere stato il pioniere della teoria del Caos e dell’effetto farfalla. Studiò matematica all'Harvard University a Cambridge nel Massachusetts. Durante la Seconda guerra mondiale lavorò come meteorologo per l'United States Army Air Corps e dopo la fine della guerra decise di concentrare i suoi studi sulla meteorologia.
Il termine "Teoria del caos" colpì l'immaginario collettivo della gioventù degli anni ‘60 ed entrò a far parte della cultura pop, insieme all'effetto farfalla.
Per spiegare come tutti i fenomeni atmosferici che accadevano sulla Terra fossero strettamente collegati fra loro, Lorenz tenne numerose conferenze, che partivano tutte da una domanda: «Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas? ». La risposta era si!
Sostenitore di tale teoria, a maggior ragione, Alberto era fermamente convinto che il fenomeno del Niño, pur avendo origine solamente nel tratto di oceano antistante il Sud America, poteva influenzare il clima in Africa o in Europa.
 Il libro "L’Anno del Niño", di Alfio Giuffrida

 
Un UFO  (Unidentified Flying Object) in una rappresentazione tratta da un film. Gli UFO sono tra gli argomenti principali della "Teoria del complotto".



Rappresentazione grafica della "Teoria del Caos" ed in particolare dell'effetto farfalla, messa a punto dal Fisico statunitense Edward Norton Lorenz

venerdì 1 luglio 2011

Alfio GIUFFRIDA: L'anno del Niño

Brani scelti:  Isabella in autostrada.


La mattina seguente erano alla frontiera con l’Ecuador, il poliziotto peruviano quando vide i documenti di Alberto, capì chi era, la notizia del suo rapimento era stata data più volte in televisione, ma il giovane gli disse, con tono serio, che era ferito e aveva urgenza di raggiungere un ospedale ed informare le autorità della sua liberazione. Il poliziotto non sapeva se bloccarli e consegnarli alle autorità peruviane o assecondare ciò che gli aveva chiesto la persona che in America Latina era diventata ormai l’eroe nazionale, alla fine fece la seconda cosa e lasciò passare la macchina.
Anche il doganiere ecuadoriano riconobbe Alberto ed anche a lui disse che aveva urgenza di raggiungere l’ospedale. Il poliziotto non ebbe dubbi, disse al suo collega di avvertire le autorità della liberazione di Alberto, saltò sulla moto e disse alla ragazza di seguirlo e a sirene spiegate fece da apristrada alla macchina di Isabella che, dopo un attimo di smarrimento, capì che quella era la migliore soluzione e seguì la moto del poliziotto a tutta velocità.
La notizia della liberazione dell’eroe nazionale fece più scalpore di un colpo di stato, in pochi minuti erano stati informati i vari ministeri e tutta la polizia. Da ogni casello entravano in autostrada altri poliziotti a sirene spiegate e tutti cercavano di raggiungere la macchia di Alberto e si mettevano di scorta al suo fianco o facevano da apristrada.

Erano ancora a metà del percorso tra la frontiera con il Perù e Quito, quando l’autostrada fu chiusa al traffico per dare la possibilità ad Isabella di guidare comodamente fino all’ospedale. Le moto della polizia erano tante, si misero a formare come una “V” davanti alla macchina di Alberto e dietro seguivano tutte le altre macchine e moto delle forze dell’ordine, come si fa con il corteo presidenziale. Sopra di loro erano arrivati anche degli elicotteri della polizia e dei rappresentanti del governo e si muovevano sopra le auto, formando un unico, immenso corteo.
Isabella era frastornata da quella situazione, ma era felice, Alberto invece era talmente stanco che si era addormentato, dopo aver dondolato la testa un paio di volte, l’aveva appoggiata sulla spalla di Isabella ed aveva chiuso gli occhi, nonostante tutto quel frastuono attorno a lui. Lei si sentiva orgogliosa più che mai, non si sarebbe mai aspettata una accoglienza simile, sapeva che il suo uomo era diventato famoso, ma non pensava che la gente gli volesse bene fino a tal punto.

Piangeva copiosamente, erano lacrime di gioia e di commozione, che le scendevano sul volto bagnandole anche il vestito, ma scaricavano l’ansia e la tensione che aveva accumulato nei giorni precedenti.
Lei si sentiva appagata da quelle manifestazioni di affetto e di rispetto per il gesto che aveva fatto e capiva che la gente voleva bene anche a lei. Adesso i sacrifici che aveva affrontato per liberarlo avevano reso pubblico il loro amore e il suo ruolo a fianco ad Alberto.
In quel momento le venne in mente l’immagine di due statuette che si vendono in Cina, sono due leoni seduti, il maschio tiene sotto la sua zampa il mondo, come simbolo della sua potenza e del suo dominio, la femmina tiene sotto la sua zampa un leoncino appena nato, simbolo della continuità del dominio, la qual cosa dà a ciascuna femmina, di uomo o di animale che sia, un potere che non sta dietro a quello dell’altro sesso.
In quel momento Isabella sentiva un forte bisogno di dare un figlio ad Alberto, ma doveva aspettare, aveva tutta la vita davanti a se. Adesso correva come in un sogno, in mezzo ad un centinaio di moto e auto della polizia a sirene spiegate, che correvano davanti a lei per guidarla verso il futuro della sua vita.