giovedì 26 dicembre 2013

“La danza dello sciamano” – La “riattaccata” con l’aereo


È un brano del libro: “La danza dello sciamano” di Alfio Giuffrida
Si trova in libreria oppure on line: http://t.co/L1oZOWLK
I libri di Alfio Giuffrida fanno parte del filone letterario  VERISMO INTERATTIVO, in cui il lettore può diventare “Protagonista” del romanzo commentando le discussioni aperte nel FORUM del sito  http://www.alfiogiuffrida.com/  ,sui vari argomenti di attualità inseriti nel testo.

 
I passeggeri erano tesi, ma in quel mentre si ebbe una violenta perdita di quota! Mentre tutti aspettavano di sentire che le ruote toccassero l’asfalto, improvvisamente i motori cominciarono a rombare a tutta forza, l’aereo prese nuovamente velocità scivolando sulla pista senza tuttavia toccarla, il numero dei giri del motore salì al massimo, facendo vibrare l’aereo come un frullatore nel quale erano stati messi a macinare dei chicchi di caffè.
 
L’aereo riprese l’assetto di salita; era come se stesse decollando di nuovo, ma in modo frenetico, il rumore dei motori era assordante, tutto sembrava roteare e sobbalzare. Le persone furono sballottate in tutte le direzioni e restarono incollate ai sedili solo perché erano legate con le cinture di sicurezza.
I flap si erano retratti improvvisamente e le estremità delle ali beccheggiavano violentemente, sembrava stessero per spezzarsi.
Nella parte bassa dell’aereo si sentì un rumore secco, come se fosse qualche oggetto che era sbattuto violentemente contro la carlinga del velivolo.
Un tonfo che gelò il sangue nelle vene dei passeggeri, forse si trattava solamente del carrello che era stato retratto, ma nessuno osò chiedere conferma.
Laura guardò Claudio con terrore,  una scarica di adrenalina aveva pervaso il suo corpo, aveva dei brividi come se le avessero rovesciato una secchiata di cubetti di ghiaccio tra la camicetta e la schiena ma, stranamente, avvertiva uno strano calore scorrerle dalla testa ai piedi ed un sudore freddo bagnarle la pelle.
Le veniva da urlare e vedeva che anche gli altri passeggeri si guardavano attorno, anche loro atterriti.  Claudio era immobile, con lo sguardo fisso di chi sente un grosso vuoto nello stomaco, ma sa che non è fame.

Alex, che essendo un Ufficiale dell’Aeronautica Militare aveva volato molte più volte di loro ed aveva già avuto l’occasione di trovarsi in una situazione simile, disse:  «Non preoccupatevi, è solo una “riattaccata”! Una manovra che viene eseguita quando la fase di atterraggio presenta qualche situazione per la quale è obbligatorio o consigliabile interrompere la discesa ed effettuare nuovamente un circuito in volo per poi ripresentarsi all’atterraggio».
A quelle parole inaspettate, tutti lo guardarono con interesse. Laura lasciò la mano di Claudio e prese quella di Alex, che era seduto nel sedile accanto al suo, dalla parte del finestrino, stringendola con entrambe le sue.
Lo guardava spaventata, con gli occhi fuori dalle orbite, balbettando qualcosa ma senza dire nulla. Mentre l’aereo riprendeva quota. Alex sfiorò appena quelle mani che lo stringevano forte e si sentì attratto da quella ragazza. Incrociò per un attimo anche lo sguardo di Claudio e notò un rancore represso nei suoi occhi.
Vide che gli occhi di tutti i passeggeri erano puntati su di lui e si sentì al centro dell’attenzione, come un missionario che deve spiegare ad un gruppo di indigeni, raggruppati attorno a lui, perché devono avere fede in Cristo, mentre un altro gruppo di ribelli sta già sparando delle raffiche di mitra su di loro.
Per un attimo pensò alla ragazza seduta a fianco a lui, che gli era stata presentata da Claudio semplicemente come una esperta di serre, che partecipava a quel viaggio per lavoro in qualità di rappresentante della sua ditta. Vide che lei adesso teneva gli  occhi chiusi, era pallida e tremava come una foglia.
Quel volto e quella espressione lo fecero sentire al centro di una grande responsabilità.
Doveva fare qualcosa per evitare che tutti i passeggeri fossero presi da una crisi di panico, ma gli argomenti validi non erano poi tanti, per cui si mise a spiegare a voce alta le fasi di una riattaccata, in modo da rassicurare quei corpi ormai quasi privi di anima.
Cominciò a parlare con calma, con il suo solito tono da professore: «Una riattaccata è un evento inusuale, ma è una manovra di sicurezza e non di emergenza.
Se il pilota ha preso la decisione di riattaccare, in genere è perché ha valutato di essere “arrivato lungo” sulla pista, oppure perché ha notato che l’assetto dell’aereo non è quello ottimale o perché la torre di controllo gli ha dato ordini precisi per evitare un possibile ostacolo in pista. 
In questo caso, forse, ci siamo semplicemente trovati in una situazione di “wind shear“ dovuto all’effetto di un temporale nelle vicinanze, che crea forti variazioni di intensità e direzione del vento e rende incontrollabile l’aeromobile. Bene ha fatto il comandante a riattaccare».
In effetti lui non aveva paura per se, si era trovato altre volte ad essere coinvolto in una simile manovra e ne era uscito sempre vivo. Ma adesso si sentiva responsabile dei sui compagni di viaggio, doveva prolungare quel discorso per tutta la durata della manovra, in modo da tenerli impegnati e non fare sentire loro la paura.  
Alex deglutì profondamente e continuò quel suo discorso che non aveva preparato.
«Una volta iniziata la manovra, deve quindi eseguire una serie di operazioni, la prima delle quali consiste nel dare “manetta” ai motori, in modo da avere la massima potenza, come nella fase di decollo. Contemporaneamente deve retrarre i flap ed il carrello, in modo da far prendere velocità e quota al velivolo.
Stando seduti avvertiamo una variazione di assetto dell’aereo, ci accorgiamo infatti che riprende a salire anziché continuare s scendere. Se guardiamo dal finestrino, vedremo i flap rientrare, spostandosi dalla posizione di atterraggio a quella di decollo.»
In quel mentre guardò dal finestrino ……..

martedì 3 dicembre 2013

“Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida – Quando una donna si innamora di un’altra donna.

sito web
È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp 

Con quella frase Alex si fermò, a quel punto iniziava quella breve parentesi scabrosa, che tuttavia era stata la fase più oscura dell’intera vicenda. Guardò la moglie con un’aria di attesa, voleva sapere perché quel sabato mattina lui si era trovato coinvolto nel loro gioco d’amore! Che effetto aveva avuto la sua presenza nel far riconciliare i due fidanzati coreani?

Silvia lo guardò con l’aria impaurita: «Non ti ho mai chiesto cosa sia accaduto tra voi due, in quelle due ore che vi ho lasciato soli e come vedi non te lo chiedo neanche adesso. Sono stata io a volerlo, per cui qualunque cosa abbiate fatto, avete avuto la mia approvazione e benedizione!».

Alex la guardò stupito ed adirato, era lui che voleva sapere perché era stato chiamato a partecipare ad uno dei loro incontri amorosi. Non lo aveva chiesto lui di entrare a farne parte: «Tra me e Bae non è accaduto nulla! Io non ho proprio niente da nascondere. Sei tu che devi dirmi perché mi hai chiamato in mezzo a voi!».

Silvia arrossì ed abbassò gli occhi. Quella affermazione che tra loro due non era accaduto nulla le diede una grande gioia, anche perché, dal tono della voce del marito, capì che era assolutamente sincera.

Ma questo la fece vergognare ancora di più dell’intrigo che lei aveva organizzato e di come vi aveva tirato in mezzo il marito, trattandolo come un oggetto. «Da un paio di giorni mi ero accorta che quel che provavo per Bae era amore, mentre lei non si accontentava più delle mie carezze femminili! Lei aveva bisogno di un uomo, che la facesse sentire donna con la forza della sua natura ed anche con il vigore del suo …» alzò un attimo lo sguardo verso il marito, cercando di intuire se lui dava cenno di giustificare il suo gesto. Ma il volto di lui rimase inflessibile.

Tirò su un singhiozzo e, dopo una piccola pausa, continuò: «Mi capisci? Comprendi il dramma che avevo dentro di me? In quel momento per te sentivo solo amicizia e ti ho voluto mettere al mio posto per costringerla a scegliere tra me e un uomo. Così organizzai tutto la sera prima. Le dissi che le avrei fatto provare la differenza tra la mia soave dolcezza e l’ebbrezza virile di essere posseduta da un uomo.

Ti lodai nelle tue doti maschili e le dissi che di te non me ne importava più nulla. Le giurai che amavo solo lei e doveva essere proprio lei a scegliere: se avesse voluto te, vi avrei persi entrambi, altrimenti ti avrei lasciato un biglietto di addio e sarei andata a vivere con lei. Ma lei non scelse né me né te, scelse invece Park e per questo io ritornai ad immaginarmi come tua moglie e, gradualmente, cercai di ricucire il nostro rapporto che, in quell’oscuro periodo, era proprio finito.»

Alex ebbe di nuovo uno scatto di rabbia, agitò le mani come se volesse colpirla con uno schiaffo. Lei chiuse gli occhi e arricciò la fronte, per un attimo fu contenta di quel gesto dettato dall’ira. Avrebbe proprio voluto quello schiaffo, sapeva che se lo meritava proprio. Ma anche quella seconda volta, lo schiaffo non arrivò!

Alex era troppo signorile per colpire una donna ed in particolare sua moglie, alla quale voleva un bene infinito. «Dunque era così falso ed insignificante l’amore che ti legava a me? » Replicò con la voce strozzata dalla rabbia. Silvia gli gettò le braccia al collo e lo baciò. «Scusami …. Se puoi!» Gli disse scoppiando in un pianto dirotto! «In quei giorni avevo proprio perso la testa! Mi sentivo in colpa verso di lei e mi sono immersa completamente nel suo personaggio.

Volevo immedesimarmi nei suoi sentimenti, martoriati da quella profonda delusione amorosa, per impedire che vacillassero, facendola precipitare nella più profonda delle depressioni. Volevo proteggere il suo corpo da atti inconsulti, affinché non mettesse in atto qualche gesto irrimediabile. E invece di quel corpo me ne sono innamorata, pazzamente e totalmente. In quei giorni pensavo solo a quello, desideravo toccarlo, baciarlo, massaggiarlo, amarlo.
 
Era un sentimento morboso ...........

sabato 16 novembre 2013

Chicco e il Cane – Ricordi di infanzia a Mascalucia

È un brano del libro: “Chicco e il Cane” di Alfio Giuffrida
Si trova on line  http://t.co/L1oZOWLK

 


In un attimo perse tutta la sua prepotenza ed anche quel senso di sicurezza che aveva verso se stesso. Tutto quel mondo dorato che aveva costruito attorno alla sua figura, stava crollando miseramente ed implacabilmente. Pensò a se stesso non più come a un giudice, onesto, severo, giusto ed imparziale, delle cui azioni e decisioni andava fiero, che sapeva giudicare e consigliare il prossimo, dettando le sue giustissime sentenze anche in famiglia. Tutto ciò era ormai avvolto in una nebbia irreale, mentre una nuova luce si faceva spazio nel suo cervello stanco. In quel momento si vide di nuovo bambino.
Nella sua mente era tornato ad essere semplicemente Luca, quel ragazzino che giocava felice assieme a tanti altri, con le sue marachelle e la sua gioia di vivere, con i suoi piccoli problemi, i suoi grandi interessi e col suo sogno segreto: che un giorno sarebbe riuscito a diventare una persona importante.   
Nel silenzio della notte, egli cercava di capire cosa fosse accaduto alla sua mente. Valutare se il suo cervello era completamente spento o fosse ancora in grado di pensare. Poi, a poco a poco, le sue cellule celebrali ripresero a lavorare, cominciò a rivedere, come in un film, le immagini salienti della sua vita. Rievocò gli anni della sua fanciullezza, la spensieratezza delle sue azioni da bambino, gli episodi accaduti nel paesello dove era nato, laggiù in Sicilia a metà strada tra Catania e l’Etna.
Fu il ricordo di una vita semplice, le passeggiate scolastiche che nel periodo delle scuole elementari si facevano il giovedì, quando la maestra li portava fuori, formando una lunga fila di piccoli alunni che si tenevano tutti con la mano. Prima però controllava, con lo stesso amore che avrebbe avuto una mamma, che i “suoi” bambini avessero tutti la loro colazione a sacco, in genere due fette di pane con in mezzo un po’ di mortadella o di formaggio fatto con latte di pecora fresco, di quello comprato dal pecoraio del paese che lo faceva in casa e, quando lo si addentava, faceva uno strano stridio di fresco sotto i denti. Ma erano in pochi ad averlo, perché costava caro ed solo alcuni di loro potevano permetterselo.
La passeggiata in genere era breve, la maestra li portava sempre nel cortile di una vecchia chiesa sconsacrata che era poco distante dalla scuola, ma i bambini erano molto contenti di poter correre un po’ e giocare a nascondino tra quei pochi alberi di olivo e qualche manufatto abbandonato.

In terza elementare avevano avuto invece il “Maestro Tomaselli” che era anziano e della vecchia guardia, lui non aveva la pazienza di controllare le loro merende e portarli sull’erba. Lui era un gran brav’uomo, un padre di famiglia, ma era anche un nostalgico, non si era per nulla accorto che il mondo era cambiato.
Quei “suoi” bambini lui li considerava ancora dei piccoli “Balilla”, nonostante quel periodo fosse ormai del tutto passato. Il giovedì, nell’ora della passeggiata, li inquadrava nel cortile della scuola e li faceva marciare, dritti ed in riga come dei veri soldati. Aveva insegnato loro a prendere le distanze tra una fila e l’altra con il braccio destro alzato, poggiando la mano prima sulla spalla di chi stava loro davanti e poi di chi stava loro a fianco, in modo da non urtarsi quando marciavano a passo cadenzato, mentre lui scandiva forte “un, due, un, due, … passo!”.
Aveva insegnato loro a fare anche il “passo dell’oca” ed avrebbe voluto che i bambini facessero anche il saluto fascista, ma qualche genitore l’aveva saputo ed era andato a dirgli, a brutto muso, che non era il caso che rievocasse in modo così evidente un passato che tutti avevano voglia di dimenticare in fretta. E lui aveva obbedito, anche se nessuno seppe mai se ciò fu per paura, oppure per la consapevolezza di chi è convinto delle sue idee, ma rispetta anche quelle degli altri.
E poi ci fu la grande nevicata del ’56, quella che è stata rievocata anche in una canzone di Mia Martini che ha avuto molto successo. In quella occasione tutti i bambini di Mascalucia giocavano a fare pupazzi di neve oppure si rotolavano felici nella piccola discesa di Via Calvario dove, in alcuni giorni, la neve era abbastanza alta e le macchine non potevano circolare. In quell’ambiente, tanto strano in un paese del sud, che era diventato improvvisamente di aspetto polare, imbiancato di neve e bloccato nelle attività quotidiane, che faceva arrabbiare gli adulti, impacciati ed impossibilitati a recarsi al lavoro, i bambini facevano le loro nuove esperienze, adattandosi con gioia a quel paesaggio soffice ed impalpabile.
Il piccolo Luca giocava sereno e quando si ritirava a casa si prendeva i rimproveri di mamma perché si era inzuppato di neve e poteva raffreddarsi. Ma erano rimproveri benevoli, che finivano sempre con un bacio.
Quell’anno tutte le regioni d’Italia, fino a quelle più estreme del meridione, furono imbiancate da uno spesso strato di neve, che cadde anche in Africa, sulle dune del deserto del Sahara. Un evento veramente eccezionale che durò per tutto il mese di febbraio e, dopo una pausa di una quindicina di giorni, riprese a marzo, classificando quell’anno come il più freddo della storia recente, anche se i record di temperatura minima appartengono con maggior frequenza al gennaio 1985, quando una massa d’aria gelida, proveniente dai Balcani, invase la nostra penisola per un paio di giorni.
Nel suo letto, zuppo di sudore, il giudice pensò a quei pomeriggi in cui doveva sbrigarsi a fare i compiti che gli aveva assegnato la maestra, per poi correre fuori a giocare con gli altri bambini della sua età. Cercò di ricordare i nomi di alcuni di loro: c’era Turi, che da grande era diventato giornalista e scrittore, Nino che poi fece il pasticciere e Filippo già destinato a fare il farmacista, perché quello era il lavoro di suo padre; e tanti altri. Quanti ricordi, dolci e confusi, passarono per qualche istante nella sua mente stanca!
Nel paese si conoscevano tutti e i bambini andavano sempre a giocare nel piazzale davanti alla Chiesa Madre e poi, non appena cominciava a farsi tardi, si riunivano tutti nella sede della “Democrazia Cristiana”: un grande salone dove nei periodi subito antecedenti le elezioni, i politici locali tenevano dei comizi al chiuso, mentre nei rimanenti periodi dell’anno era gestito dai notabili di quel partito.

In pratica quella sala era sempre a disposizione di quegli anziani, ritenuti politicamente fedelissimi, che stavano lì a giocare a carte e guardare la televisione. C’era uno di quei primi televisori che si videro in Italia a metà degli anni ’50, acquistato presso l’unico rivenditore che nella vicina città era riuscito ad accaparrarseli, il quale diceva con grande orgoglio, che lui li importava direttamente dall’America.
Era uno di quegli apparecchi grandi, pesanti, profondi e con lo schermo piccolo, al quale, come era di abitudine a quel tempo, si usava far costruire dal falegname del paese un mobile ad hoc per contenerlo. Quello situato nella sede della Democrazia Cristiana era di legno scuro, con le ante, che la sera, quando finivano i programmi ed appariva una antenna televisiva che scendeva e scompariva nella parte bassa dello schermo, si potevano chiudere per proteggere quel prezioso strumento tecnologico e custodirlo, oltre che dalla polvere e dagli urti accidentali, anche dagli sguardi dei curiosi del partito opposto, che sicuramente lo desideravano ma non erano ancora riusciti a raggiungere l’accordo, o la somma, per poterlo acquistare e finalmente vedere anche loro le notizie, i film e gli spettacoli che diventavano sempre più interessanti.
A volte entrava in quella sala anche il vecchio Parroco del paese, soprattutto quando c’era qualche intruso dell’altro partito, che lui conosceva bene, con il quale si soffermava a far due chiacchiere per sapere se, effettivamente, si era politicamente convertito oppure era venuto solo per curiosare. Spesso veniva il maresciallo dei Carabinieri, sempre ossequiato e riverito dagli adulti e scrutato con attenzione dai bambini, le cui mamme lo indicavano sempre come simbolo dell’autorità dello Stato e della severità della Legge. A volte passava anche il farmacista, un’altra delle figure eminenti di quei piccoli paesetti di provincia, ma lui non entrava mai dentro, come invece facevano gli altri che in quel modo approfittavano per ammirare quel gioiello della tecnica, lui si fermava sempre davanti alla porta perché il televisore lo aveva già comprato e lo aveva a casa, anche se non lo aveva mai detto a nessuno per evitare di avere troppe visite indiscrete.
In quella grande sala, arredata solamente con sei o sette file di sedie disposte davanti al televisore, gli amici dei notabili venivano a vedere il telegiornale ed il sabato sera, a turno secondo la capienza della sala, potevano portare tutta la famiglia per assistere ai programmi di quell’unico canale televisivo di cui l’Italia di allora disponeva. Si potevano seguire i primi spettacoli di varietà di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello o il gioco a quiz: “Il musichiere” presentato dall’indimenticato Mario Riva. I bambini invece erano ammessi tutti i giorni, ma solo fino all’ora di “Carosello”, poi tutti a casa, a chiedere alla mamma il formaggino di cui avevano visto la pubblicità e sentirsi dire che non c’era, perché costava troppo ed in paese non si trovava, per comprarlo bisognava prendere la corriera ed andare in città.
Così una mezz’ora prima che iniziasse il famoso programma pubblicitario, tutti i ragazzini arrivavano in quella sala come attratti dal miele e chiamavano a gran voce quel loro amico, che un giorno sarebbe diventato  un giudice, per fare come ogni sera, il loro gioco preferito: “Se avessi una bacchetta magica”.
Quel gioco scaturiva dal fatto che lui aveva una discreta conoscenza di geografia, trasmessa dal suo vicino di casa, l’avvocato Condorelli che la geografia l’aveva nel sangue, come una passione. La studiava anche di notte perché doveva presentarsi, su quella materia, a “Lascia o raddoppia”, una delle prime trasmissioni di Mike Bongiorno e spesso chiamava quel ragazzino per ripassarla e ripeterla a qualcuno. E il piccolo Luca partecipava interessato, in quanto gli piacevano tutte quelle notizie geografiche, per cui si era fatta una cultura sulle capitali di tutte le nazioni o sui fiumi più lunghi della terra, ben più vasta di quella che avevano i ragazzini della sua età.
Ma il nostro piccolo giudice era dotato anche di una straordinaria fantasia, che gli permetteva di sfruttare quelle nozioni che aveva imparato ed inventare viaggi immaginari, emozioni fantastiche e divertenti che egli riusciva a trasmettere con facilità ai suoi amichetti, rendendoli impazienti di partecipare ogni giorno ad avventure immaginarie e fantastiche, sempre diverse tra loro.
In quel momento lui diventava il leader di quel gruppo di bambini che, appena entravano, andavano subito a prendere un paio di sedie, le giravano per terra con la spalliera disposta in alto, in modo che diventassero delle piattaforme un po’ allungate, dove loro si sedevano a cavalcioni ed erano pronti a partecipare ogni sera ad un nuovo, fantastico viaggio.
Luca arrivava orgoglioso e pieno di sé, sentendosi grande rispetto a quei suoi coetanei che lo acclamavano. Si appoggiava, facendo finta di sedersi, sulla spalliera della prima sedia, che rappresentava per qui bambini una lunga fila di tappeti volanti ed iniziava il solito gioco: «Se avessi una bacchetta magica, oggi vi porterei a … Parigi. Ecco stiamo sorvolando la Senna, è proprio sotto di noi, attenti alla Torre Eiffel, potremo sbatterci e farci male, se state tutti raccolti vi faccio passare sotto l’Arco di Trionfo e lì in fondo potete vedere l’orologio della stazione dei treni che vengono dall’Italia».
Era un gran vociare fra tutti quei bambini, che si zittivano a vicenda per ascoltare le fantasie che lui raccontava di getto, attirando sempre il loro interesse ed anche l’attenzione dei vecchi, che facevano solo finta di essere infastiditi dall’inevitabile baccano che ne scaturiva, ma in fondo ascoltavano anche loro, con interesse, quelle improvvisate fantasie di un bambino che, dicevano con un pizzico di ammirazione, diventerà sicuramente qualcuno.

mercoledì 13 novembre 2013

Intervista di Salvatore Merra ad Alfio Giuffrida su “Quella notte al Giglio”

sito web Intervista di Salvatore Merra, Direttore Editoriale della “Sovera Edizioni”, ad Alfio Giuffrida, in occasione dell’undicesima fiera nazionale della piccola e media editoria “Più libri più liberi” (Roma, Palazzo dei Congressi, 6-9 dicembre 2012).
 

Merra: Dopo “Chicco e il Cane”, che ha commosso tutti i nostri lettori per il toccante destino di Molly e ci ha fatto riflettere sulla piccolezza degli uomini e la potenza del Creatore, ecco un altro romanzo: “Quella notte al Giglio”. Cosa hanno in comune?

Giuffrida: Con “Chicco e il Cane” ho voluto aprire un nuovo filone letterario, che il direttore del giornale on line “Meteoweb” ha chiamato “Verismo interattivo”, perché tratta di fatti assolutamente veri e perché da al lettore la possibilità di diventare egli stesso protagonista, partecipando alle discussioni che si aprono dalle sue pagine! A parte la storia di Chicco e Molly che costituisce la trama del romanzo, il libro ha posto in discussione un problema annoso: le interferenze mediatiche possono influenzare la Giustizia? Se subito dopo il sequestro di Emanuela Orlandi non fossero state rese pubbliche alcune notizie che dovevano essere riservate, forse oggi il caso poteva essere risolto? E la parabola della penna, carta e calamaio: chi è il vero Autore delle nostre azioni? Chi ci ha creato con un corpo e un’anima. Entrambi gli argomenti sono stati già oggetto di discussione su molti siti internet. E “Quella notte al Giglio” vuole continuare ad accendere i riflettori su nuovi argomenti, da discutere assieme ai lettori.

Merra: La tragedia della Costa Concordia fa da cornice all’amore di due coppie, quella italiana di Alex e Silvia e quella coreana di Park e Bae, questi ultimi in viaggio di nozze sulla nave. Le vicissitudini di Bae spingono Silvia prima e sentirsi in colpa verso di lei, poi addirittura ad innamorarsene. Ci si chiede fino a che punto possa o debba spingersi un’amicizia.

Giuffrida: Le due coppie vengono coinvolte in una intricatissima storia, imperniata sulla spettacolarità dell’inchino all’isola del Giglio e sulle conseguenze che quel gesto, pur se entusiasmante verso la clientela delle navi da crociera, può causare se effettuato senza la dovuta professionalità. Chiaramente questa riflessione è lo scopo principale per cui è stato scritto il libro. A questo ho voluto aggiungere qualche riflessione: il senso di dovere nell’aiutare un’amica in un suo momento di sconforto, può spingersi fino a mettere a repentaglio la propria armonia familiare? Una donna può innamorarsi di un’altra donna? E in tale caso, per un marito, il tradimento è più doloroso quando la moglie lo lascia per un altro uomo o quando lo lascia per un’altra donna?

Merra: Anche in questo romanzo, come nel precedente, il vero protagonista è un piccolo cane. In Chicco e il cane, uscito di recente, è la cagnetta Molly che fa emergere Chicco dall’autismo. Qui è Kim, il cagnolino della giovane sposina Bae, il quale muore tra atroci sofferenze nell’affondamento della Costa  Concordia.

Giuffrida: Il piccolo Kim rappresenta tutti i 4200 ospiti della nave. La sua dignità nel morire mi è servita per dare l’idea di come, in quei momenti, si possa soffrire in silenzio, senza pensare ad altro se non alla propria vita ed a quella delle persone a noi più care. Ed in questa dimostrazione di altruismo gli animali sono insuperabili. Se avessi descritto il caso di questa o di quell’altra persona, avrei peccato di parzialità, trascurando il fatto che il dolore, in una tragedia come quella della Costa Concordia, è generalizzato. Anzi direi che è esteso anche ai parenti delle vittime che, da casa, vivono ore di angoscia, non meno terribili di quelle vissute dai naufraghi in prima persona. Le figure della mamma e della sorella di Park, penso descrivano bene questa sofferenza. Inoltre ho voluto sollevare un altro problema: mi sono chiesto più volte perché gli animali da compagnia non sono ammessi sulle navi da crociera. Così, continuando nella mia ottica del “Verismo interattivo”, ho voluto innescare una discussione su questo argomento e sono in attesa di qualche risposta sul mio blog, che mi spieghi perché i cani diano fastidio sulle navi da crociera.

Merra: Nel romanzo vengono evidenziati vizi e virtù tipiche dell’uomo, egoismo, presunzione, viltà; all’opposto senso del dovere, altruismo e solidarietà.
Mi pare che sia soprattutto un inno alla solidarietà: tra partner, tra familiari, tra conoscenti e in particolare verso estranei bisognosi.

Giuffrida: Da soli non valiamo nulla, saremmo come degli esseri inanimati buttati per caso su questa Terra. La nostra vita dobbiamo viverla nella società con tutti i pregi ed i difetti che essa presenta. Ma è proprio nei momenti di bisogno che vengono fuori i nostri caratteri: si scopre chi è codardo e chi è eroe. Chi pensa solo a salvare la propria vita e chi è disposto a rischiarla per salvare il prossimo. Chi è in grado di affrontare le proprie responsabilità e chi fugge lasciando al loro destino le persone che si erano affidate a lui.

Merra: Alex è il nome di uno dei protagonisti maschili sia in Chicco e il cane che in Quella notte al Giglio. In più è un esperto meteorologo. Non può essere un puro caso.

Giuffrida: Molti dei miei lettori avranno pensato che nei miei racconti ci sia qualcosa di autobiografico. In effetti c’è solo il racconto di tutti quegli eventi, di cui sono stato spettatore nella  mia vita, nel mio lavoro o nella mia lunga esperienza di conferenziere in Italia e all’estero, che meritano di essere narrati. In Chicco e il cane è assolutamente vera la storia della cagnetta che tronava ad Ostia percorrendo la via del Mare. È vera la conferenza organizzata da Federasma e tanti altri particolari come il fatto di Tino sull’aereo o di Rita e la sua organizzazione che lotta per salvare gli animali abbandonati. In Quella notte al Giglio sono veri pressappoco tutti i fatti raccontati, compresa la descrizione della forgiatura del pugnale, dell’inchino all’isola di Procida e, purtroppo e soprattutto, anche di quello all’isola del Giglio!

Merra: C’è un senso ineluttabile del fato nel romanzo, coniugato alle virtù tipiche del cristiano che sono, a parte l’amore, la fede e la speranza. Si dà molto risalto a quest’ultima.

Giuffrida: Al liceo sono rimasto affascinato dalla lettura dei “Promessi Sposi”, dal suo modo realistico di raccontare gli eventi, che ho cercato di imitare nei mei romanzi. In esso c’è anche una sottile morale che il Manzoni vuole infondere nei propri lettori: la Provvidenza che guida sorregge le nostre azioni. Io ho voluto introdurre la Speranza in cui dobbiamo credere finché c’è vita nei nostri cuori o, in altri termini, la Fede nel sapere che le nostre azioni sono tutte effimere e c’è sempre Qualcuno sopra di noi che, se vuole, può sempre capovolgere, in meglio o in peggio, la nostra vita.

Merra: Aleggia l’ombra della malattia mentale sia in Chicco e il cane, dove è il protagonista eponimo Chicco, affetto da autismo infantile, sia in Quella notte al Giglio, dove la giovane coreana Shim, sorella di Park, mostra i sintomi di ritiro dovuti a una psicosi esordita in età giovanile. L’Autore mostra grande competenza e sensibilità.

Giuffrida: E’ il ringraziamento che ognuno di noi dovrebbe fare quando si guarda allo specchio e vede che sta bene. Di fronte alla salute tutto il resto è nulla, ricchezze, agi, problemi di lavoro e quant’altro ci sembra irrinunciabile, sono solo dei futili particolari. Le malattie che ho citato nei mei romanzi sono i soli e veri problemi della vita, le prove a cui il Signore ha voluto sottoporci per vedere e giudicare le nostre reazioni.

Merra: Il romanzo è anche una rivendicazione orgogliosa delle virtù del popolo italico, contro l’accusa infamante di codardia, mossa da un giornalista straniero.

Giuffrida: Quella frase: “Salga a bordo cazzo”, era diventata il triste ritornello in quei giorni incredibili, in cui tutti eravamo sempre più esterrefatti dal motivo che ha causato la tragedia. In quel periodo non passavano più di cinque minuti che quella frase non venisse riproposta, in Italia e all’estero, con qualsiasi mezzo: televisione, internet, giornali ed altro. Ma quel che è peggio, con sottile ironia, sembrava essere riferita non solo al Comandante Schettino, ma a tutti gli italiani. Questo è stato il motivo per cui DOVEVO scrivere questo libro! Non sta certo a me giudicare Schettino né come persona né come Comandante, c’è un procedimento penale in corso e, chi ha sbagliato, si spera pagherà con una pena commisurata ai suoi errori. Ma in quei giorni, soprattutto all’estero, erano tutti gli italiani ad essere sotto processo, tacciati da una infamia che sicuramente non meritiamo. Ma non è affatto così! Ecco perché in me è scattata “La rabbia e l'orgoglio”, come il titolo del famoso articolo, poi diventato un libro, di Oriana Fallaci, che mi ha imposto di mettermi a scrivere. Ad essere determinante è stata proprio una frase di quel libro: "Vi sono dei momenti, nella Vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare diventa un obbligo. Un dovere civile, una sfida morale, un imperativo categorico al quale non ci si può sottrarre". 

mercoledì 30 ottobre 2013

Maria Pace - IL DILUVIO UNIVERSALE

sito web
Per gentile concessione della scrittrice Maria Pace

Eventi catastrofici sono sempre stati associati alla volontà divina (accade ancora oggi, in certi ambienti e certe culture) soprattutto se inspiegabili (come il fulmine) o devastanti (come terremoti o alluvioni).
Racconti di Diluvi Universali (come lo scioglimento delle acque dopo una Glaciazione) sono presenti in ogni cultura e ad ogni latitudine del pianeta e nessuno studioso o scienziato li mette più in dubbio.

Anche la Teologia egizia ha il suo Diluvio, ma lo racconta in maniera diversa e particolare.
Il motivo, forse, c’è: lo straripamento di un fiume non poteva essere devastante come l’innalzamento delle acque del mare ed eventuali tzunami!
Cosa raccontano i Testi Sacri egizi?
Ecco qua un bel racconto con finale a piacere:
Per punire il genere umano, reo di colpe molto gravi, si decise di dargli una bella lezione.
A compiere la “missione” fu mandata la ferale Sekhmet, Sposa di Ptha, (Dio Creatore, corrispondente… un po’… al nostro Padre Eterno)  nelle sembianze di Leonessa Sacra.
Cosa fu, cosa non fu, ma… la Dea si lasciò trasportare dalla propria natura ferina e compì una vera strage, tanto da minacciare di estinzione il genere umano.
Preoccupato, Ptha (o Ra, secondo altre versioni) pensò bene di inondare tutto il territorio di birra rossa.( gli antichi egizi ne facevano largo uso!)
La Dea, scambiandola per sangue, si prese una bella sbronza e… si dimenticò di portare a termine la “missione”…
L’uomo, dunque, sarebbe salvo solo grazie ad una sbornia divina!!!

Altra versione:
La Dea, sempre Sekhmet, che doveva risparmiare gli uomini giusti, se la prese anche con Adap  (il Noè della situazione) e lo ferì mortalmente.
Quando si rese conto della gravità del fatto, si fermò e cominciò a versare un bel po’ di lacrime di pentimento.
Furono proprio quelle lacrime a sanare le ferite di Adap ed a restituirgli la vita.
Fu così che Sekhmet, Dea della Distruzione,  divenne anche Dea della Rinascita… Ambivalenza, come in quasi tutti gli aspetti della filosofia egizia.  

Commento di Alfio Giuffrida
Maria Pace, ex insegnante e ricercatrice di antiche etnie, è una scrittrice. E’ stata già ospite di questo blog. Il suo modo di scrivere ha molto in comune con il VERISMO INTERATTIVO ed infatti, nella pagina FOUM del sito http://www.alfiogiuffrida.com/  è già aperta una interessante discussione sul Diluvio e sull’Antico Egitto.
Per maggiori informazioni vedi il sito http://www.mariellapace.altervista.org/ .

Il depliant dell’Inchino all’isola di Procida

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È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp

«Un giorno, navigando su internet a casa sua, Park aveva trovato una pubblicità della Costa Crociere in cui si parlava di quel saluto che la nave Concordia aveva fatto all’isola di Procida. Si era ricordato del nostro litigio ed aveva capito quale doveva essere stata la mia meraviglia nell’avere assistito personalmente a quello spettacolo. Si era guardato a destra ed a sinistra per assicurarsi che non ci fosse sua madre nella sua stanza.
Non voleva che lei vedesse quella nave e neanche che lui la osservasse sullo schermo del suo computer tramite internet. Non si accorse che sua madre era lì, esattamente dietro di lui, che lo osservava in silenzio, come sempre, senza che lui se ne accorgesse.

Aveva messo quel depliant a schermo intero e cercava di leggere quelle frasi che, purtroppo per lui, erano scritte in italiano. Si sforzava di capire cosa ci fosse scritto, pronunciando a bassa voce, come per fissarsele in mente, le poche parole che riusciva a decifrare. Diceva così “Costa Concordia” … “Isola di Procida” …. “Comandante Francesco Schettino” … E intanto il suo cuore aveva quasi smesso di battere, i suoi occhi erano fissi sullo schermo del computer, la sua mente avulsa dalla realtà. Poi smise di leggere, poggiò i gomiti sul tavolo e mise la testa tra le sue mani, come per sorreggerne il peso, mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime, che caddero sul tavolo e lo bagnarono.
In quel momento una mano passò leggera sui suoi capelli. Lui si voltò di scatto, sorpreso da una presenza di cui non si era accorto. Vide sua madre, che era proprio dietro di lui, che vegliava sulle sue azioni in modo impalpabile, mentre lui era talmente intento ad osservare quella foto che non aveva affatto notato la sua presenza.    
La sua povera madre, che alcuni mesi prima aveva sofferto molto, specialmente in quelle settimane in cui erano stati litigati e separati, era sempre dietro di lui, pronta a vegliare su ogni sua mossa, a proteggerlo da ogni pericolo, ad invogliarlo nei suoi desideri. Lei non pensava mai a se stessa, voleva solo che il figlio fosse felice, perché si era sacrificato fin troppo per tutta la famiglia ed in particolare per lei. Era giusto che lui avesse una vita normale, fosse libero di salire su qualsiasi nave senza preoccuparsi che sua madre stesse male. Si era resa conto che, probabilmente, era stata questa sua prevenzione contro le navi, questa sua ossessione, che aveva fatto fuggire il figlio minore fuori da casa.

E adesso chissà dov’era? Da oltre un anno era lontano da casa e non aveva dato più notizie di se. Forse era proprio a bordo di una nave? Visto che quella era la sua passione da ragazzo e il dramma del padre lui lo aveva vissuto solo di riflesso. Era stato solo Park ad interessarsi del riconoscimento del cadavere, delle pratiche burocratiche, della malattia della madre, del trauma della sorella, delle necessità economiche della famiglia, di tutto ciò che in quel momento lei non riusciva neanche ad immaginare. Mentre aveva ben chiari i sacrifici che il figlio si era accollati in tutti questi anni! E adesso la sua felicità era stroncata da questa sua paura ossessiva! Non era giusto! Adesso doveva lei ad essere forte, a spronarlo anche se lei in quel momento si sentiva morire. 

giovedì 24 ottobre 2013

“Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida - L’inchino all’isola di Procida


È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp 

Ad un tratto, verso mezzogiorno, sentimmo dei boati, come dei colpi di cannone sparati lì, vicino al porto. La signora del negozio, dove Silvia stava provando una maglietta, sorrise soddisfatta, come se si stesse, finalmente, avverando qualcosa che aspettava con ansia. Ci fece segno di uscire dal negozio e guardare verso il mare. Nel frattempo si udirono altri colpi di mortaio, come quelli che si sparano durante le feste patronali, tre, quattro …. dieci.

In quel mentre, da dietro le alture che delimitavano il porto, ecco apparire una nave bianca ed enorme, con un grande comignolo giallo sul quale era impressa una imponente “C”. Subito rispose al saluto inviato dall’isola, con tre lunghi e potentissimi fischi di sirena. La gente si riversò sulle strade per guardare quello spettacolo veramente insolito. Quelli che potevano avere a disposizione una barca o un motoscafo, si imbarcarono per avvicinarsi alla nave che intanto aveva rallentato la sua corsa e si era avvicinata all’isola in modo impressionante.


 

Fu una grande emozione non solo per gli abitanti di Procida, che forse erano abituati a questi passaggi ravvicinati, ma anche per i numerosi turisti che affollavano le strade, i quali accolsero quel saluto con applausi, mentre dai negozi e dalle case erano apparsi striscioni e trombette che salutavano il loro Comandante Schettino, di Meta di Sorrento, che lì era conosciuto da tutti. Lui era l’idolo dei ragazzini, colui che riusciva a portare la sua nave davanti al porto più vicino di ogni altro, per regalare ai suoi amici di Procida e ai passeggeri della sua nave uno spettacolo indimenticabile.

Motoscafi, pescherecci, barche di ogni genere cominciarono a fischiare con le loro sirene, mentre la grande nave Concordia rispondeva con la sua grande sirena che sovrastava, di gran lunga, tutte quelle degli altri natanti. È stata una festa destinata a restare impressa negli animi e nella mente della gente, un atto d’amore ed un omaggio alla tradizione marinara che procidani e sorrentini avevano nel loro DNA.

La nave era talmente vicina al porto che sembrava si potesse toccare!», continuò Alex anche lui preso dall’eccitazione nella rievocazione di quei momenti, «Era come se la Costa Concordia, con i suoi tredici ponti ed una stazza di oltre centomila tonnellate, non fosse più in mezzo al mare, ma stesse li in piazza, in mezzo a noi. Si vedevano le persone a bordo che brindavano alla nostra salute mentre noi facevamo loro delle foto, come  per suggellare un ipotetico sposalizio tra la terra e il mare.

Io e Silvia restammo contenti e soddisfatti di quello spettacolo, mentre Bae era rimasta letteralmente entusiasta. Per la commozione aveva le lacrime agli occhi! Appena la nave era passata via, voleva subito telefonare a Park per esternargli la sua gioia, per raccontargli quello spettacolo meraviglioso a cui lei aveva assistito e che l’aveva incantata. Ma mentre stava già componendo il numero si fermò e il suo volto si fece buio, come se ci fosse qualcosa a cui non aveva pensato prima e che destava in lei delle recondite, enormi, viscerali preoccupazioni.

Ripose il cellulare e disse che in quel periodo lui stava lavorando molto e la sera andava a letto presto, per cui, visto che a causa della differenza di fuso orario, forse lo avrebbe disturbato, rimandò la telefonata al giorno successivo.

Silvia si accorse che la titubanza di Bae risiedeva in qualcosa di più profondo, la chiese se c’era qualche problema fra lei e il suo fidanzato, ma la ragazza disse che non c’era nulla, per cui rientrammo nel negozio dove mia moglie stava provando la sua maglietta, senza dar peso a quel senso di preoccupazione che si era instaurato sul volto della nostra ospite.

Naturalmente, il discorso cadde subito sulla nave da crociera che era appena passata. Vedendo che la nostra amica non era italiana, la padrona del negozio ci chiese da dove veniva e se nel suo paese le navi usassero fare “l’inchino” in questo modo. Bae capì, più dalle gesta che dalle parole, ciò che la signora aveva detto e rispose subito, naturalmente in inglese: «Non sono mai stata su una nave da crociera. Mi piacerebbe andarci!»

La signora del negozio capì benissimo ciò che la ragazza aveva detto, tuttavia preferì rispondere in dialetto, agitando le mani e gesticolando, come usano fare le donne napoletane. Forse voleva dare un senso più chiaro ed immediato alle sue parole, o comunque imprimere una forza maggiore a ciò che voleva dire.  

«Signurì, se vuie siete fidanzata, quannu ve maritate avite a fà ‘a luna di miele ‘ncoppa a ‘na cruciera! Allura sì che nun vu scurdate chiù da festa che vi fannu!» Disse la negoziante mentre la guardava divertita. E riuscì perfettamente nel suo intento! Quella luna di miele in crociera gliela fece entrare nel sangue!

Bae non solo capì perfettamente le parole della donna, pur se dette in dialetto, ma si entusiasmò a tal punto che, dalla gioia, le tremarono le gambe.

martedì 18 giugno 2013

IL VERISMO INTERATTIVO


Carissimi, mi chiamo Alfio Giuffrida e sono uno scrittore. Con i miei libri ho dato vita ad un nuovo filone letterario, chiamato “VERISMO INTERATTIVO”, con il quale ogni lettore può diventare protagonista, esprimendo il suo parere sui principali argomenti di attualità che, al giorno d’oggi, attanagliano la nostra esistenza. Visitate il mio nuovo sito http://www.alfiogiuffrida.com/  dove è aperto un forum su numerosi problemi di attualità. Mi farebbe molto piacere se ognuno di voi inserisse un suo commento in uno degli argomenti del forum. Vedete anche il sito http://t.co/L1oZOWLK  dove sono in vendita i miei libri a prezzi scontati. Gli ebook costano solo 1 euro! Ciao e grazie. Alfio

 

mercoledì 13 febbraio 2013

Cristoforo Colombo Meteorologo.


Era il 12 ottobre 1492, quando Cristoforo Colombo, al comando di tre imbarcazioni spagnole, approdò sulle coste di un'isoletta dell'Arcipelago delle Bahamas, che ribattezzò con il nome di San Salvador, mettendo la sua firma su uno degli eventi più significativi della Storia: "la Scoperta dell'America".

Sicuramente Cristoforo era  un abile diplomatico, capace di convincere la Regina Isabella ad affidargli una missione rischiosa e costosa, senza avere in cambio nulla di certo. Ciò che ha dato fiducia alla Regina di Spagna saranno state le sue eccezionali referenze di esperto navigatore nonché di cartografo, ma ciò che la Regina forse ignorava erano le sue eccellenti conoscenze nel campo della meteorologia!

Se, come spesso viene rappresentato, egli avesse solamente arrotolato una carta geografica di allora e mostrato la via più breve per raggiungere le Indie, navigando verso ovest, non sarebbe mai arrivato in America, perché i venti lo avrebbero sospinto verso l’Europa rendendo impossibile la sua rotta.

C’è una sola risposta a questa domanda: Colombo aveva delle ottime conoscenze di meteorologia!

Come molti marinai egli conosceva gli alisei, sapeva dove soffiavano e sapeva anche che lo avrebbero portato a sud della regione che lui voleva raggiungere. Ma egli conosceva anche i Controalisei (Trade Winds) e sapeva che con essi sarebbe potuto ritornare in Spagna. In altre parole, egli aveva una globale conoscenza della Circolazione Generale dell’Atmosfera!

Colombo ebbe la geniale intuizione di iniziare il suo viaggio dirigendosi verso le Canarie, in modo da prendere gli Alisei favorevoli. Il percorso che lui programmò con assoluta ostentazione di sicurezza non era tuttavia una cosa ovvia, basta pensare un attimo: avere questi venti così favorevoli alle spalle durante il viaggio di andata generò nei marinai il timore di non poter più tornare indietro, perché contrari al ritorno.

Ma arrivato in quelle isole, egli fece una sosta che allora sembrò inspiegabile: troppo lunga per fare gli ultimi rifornimenti prima della grande traversata.

Forse c’è ancora un aspetto misterioso nel suo fantastico viaggio che lo ha portato alla Scoperta dell’America!

Ciò che sorprende nell’impresa delle tre caravelle è la totale assenza di maltempo durante il lungo viaggio e la perfetta scelta dei tempi e del tragitto durante la traversata.

Colombo scelse per il suo viaggio una traiettoria molto bassa, lontano dalle violente tempeste del Nord Europa, ma al di sopra dell’area di formazione degli uragani.

La scelta della lunga sosta alle Canarie appare oggi fondamentale dal momento che essa permise a Colombo di  evitare non solo la zona, ma anche la stagione in cui si formano gli uragani, dal momento che i cicloni tropicali atlantici raggiungono la massima frequenza tra agosto e settembre, per poi diminuire considerevolmente a ottobre.

Troppi elementi favorevoli per pensare che sia stata solo fortuna. È verosimile invece che Colombo, grazie alle sue eccezionali conoscenze della meteorologia ed alle sue attente letture del “Milione” di Marco Polo, sapesse già dell’esistenza dei tifoni nel Mar della Cina, che avvengono nello stesso periodo degli uragani ai Caraibi.

“Il Milione” è stato scritto e tradotto in numerose versioni, non sappiamo  quale sia stata quella letta da Colombo, nè se in essa erano riportate notizie sulle violente perturbazioni, oggi chiamate Tifoni, che si abbattevano sulle coste della Cina e che in Europa, di pari violenza, erano quasi sconosciute. Ma se Marco Polo ha dato notizia di qualcuna di queste perturbazioni e, con la sua proverbiale meticolosità ne ha descritto il periodo in cui esse avvenivano, sicuramente Colombo ha fatto tesoro di tali informazioni. Forse è stato questo particolare che lo ha indotto a partire a settembre anziché ad agosto! La lunga traversata dell'oceano difatti iniziò solo il 6 settembre: Colombo navigò pressoché in linea retta, tra i paralleli 26 e 30, un po' più a nord della linea del Tropico del Cancro, convinto di poter arrivare così sulle ricche coste di Formosa.

La notte di giovedì 11 ottobre, Colombo si disse convinto di avere intravisto in lontananza una luce, «como una candelilla que se levava y se adelantaba» ("come una piccola candela che si levava e si agitava"). E fu alle due di notte di venerdì 12 ottobre 1492 che Rodrigo de Triana, a bordo della Pinta, distinse finalmente la costa. “Terra! Terra!”



Il mito di Enea

sito web
Naufragio: oggi si parla tanto della tragedia della nave Costa Concordia, il cui naufragio è accaduto proprio un anno fa. Al riguardo si invita a leggere il libro “Quella notte al Giglio”, di Alfio

Giuffrida, che racconta quei momenti terribili. Spesso lo si accomuna ad un altro naufragio famoso: quello del Titanic, avvenuto cento anni fa. Tuttavia, quando si parla del naufragio di una nave, si pensa subito alle condizioni del tempo e si immagina un mare tempestoso. Eppure questi due famosi naufragi sono avvenuti con il mare perfettamente calmo.

E quando si parla di mari tempestosi, a tutti noi ritorna alla mente un libro famoso: l’Eneide, che narra come da una serie di tempeste e peregrinazioni, di interventi divini e di fatiche umane, sia nata la stirpe di Roma e del suo glorioso Impero, al quale tutti noi italiani ci sentiamo molto legati.

Ma fu un naufragio quello che portò Enea nei pressi del Tevere? Oppure egli scelse volutamente le coste laziali per fondare una nuova civiltà con gli esuli della sua amata Troia?

Come si racconta nell'Eneide, Enea, figlio della dea Venere, fuggì da Troia, ormai presa dagli Achei, con il padre Anchise e il figlioletto Ascanio. La sua meta era l’Etruria la cui popolazione era legata a Troia da molti fattori, ma il viaggio che egli percorse per raggiungerla fu lungo e pericoloso. Dopo varie peregrinazioni nel Mediterraneo, Enea approdò nel Lazio nel territorio di Laurento.

Qui venne accolto con ostilità da Latino, Re di quella “città stato” ma, secondo una delle tante leggende che raccontano quelle gloriose vicende, il destino volle che il re italico fosse vinto in battaglia e costretto a fare pace con l'eroe troiano. Si narra, inoltre, che una volta conosciuta la figlia del re, Lavinia, i due giovani si innamorassero perdutamente l'uno dell'altra, anche se la ragazza era stata promessa in sposa a Turno, re dei Rutuli, che vivevano nel territorio della vicina città di Ardea.

L'amore dei due giovani costrinse il vecchio padre, Latino, ad assecondare i desideri della giovane figlia ed a permetterle di sposare l'eroe giunto da Troia, pur sapendo che prima o poi avrebbe dovuto affrontare l’ira di Turno. Ben presto infatti scoppiò la guerra tra Latini e Troiani da una parte e Rutuli dall’altra. In una prima fase furono i Rutuli ad avere la meglio, grazie alla momentanea assenza di Enea, ma il ritorno in campo dell’eroe troiano segnò la svolta decisiva nel conflitto. Allora Giunone, dea da sempre ostile ai troiani, sottrasse Turno all'ira di Enea con un incantesimo, trasportando il re rutulo nel suo palazzo. Ma l’ira di Turno era irrefrenabile e ben presto i buoni propositi del partito favorevole alla pace furono battuti, per cui egli ritornò a combattere, scatenando il suo esercito e tentando il tutto per tutto. Dopo una prima battaglia, terminata a favore dei latini, seguì una tregua, ben presto violata; nell'ultimo decisivo scontro Turno venne affrontato in duello da Enea e ucciso.

Nel poema virgiliano i Rutuli sono guerrieri fieri e valorosi, disposti a tutto per il loro re Turno quando questi dichiara guerra ai troiani. Dopo la dura sconfitta, la loro civiltà decadde rapidamente e di essi si è parlato poco per oltre 2000 anni.

La loro stirpe tuttavia è sempre orgogliosa di vivere in quel territorio che fu sede così cruenti scontri. Al giorno d’oggi il loro nome è rievocato da un coro polifonico ormai famoso: i “Rutuli Cantores”, che tengono altro il nome di Ardea e della sua gente con i loro concerti in tutto il Lazio, ma anche in molte altre regioni italiane ed all’estero, partecipando a Rassegne e Concorsi corali. La spinta decisiva alla loro notorietà è arrivata nel 2001, con la direzione del Maestro Costantino Savelloni, già direttore di un altro complesso polifonico: “Lo Strambotto”, ambientato ad Acilia, un’altra località storica dell’antica Roma, il quale ha saputo sfruttare due repertori diversi, se pur simili, per i due cori, ottenendo con entrambi strepitosi successi.