mercoledì 30 ottobre 2013

Maria Pace - IL DILUVIO UNIVERSALE

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Per gentile concessione della scrittrice Maria Pace

Eventi catastrofici sono sempre stati associati alla volontà divina (accade ancora oggi, in certi ambienti e certe culture) soprattutto se inspiegabili (come il fulmine) o devastanti (come terremoti o alluvioni).
Racconti di Diluvi Universali (come lo scioglimento delle acque dopo una Glaciazione) sono presenti in ogni cultura e ad ogni latitudine del pianeta e nessuno studioso o scienziato li mette più in dubbio.

Anche la Teologia egizia ha il suo Diluvio, ma lo racconta in maniera diversa e particolare.
Il motivo, forse, c’è: lo straripamento di un fiume non poteva essere devastante come l’innalzamento delle acque del mare ed eventuali tzunami!
Cosa raccontano i Testi Sacri egizi?
Ecco qua un bel racconto con finale a piacere:
Per punire il genere umano, reo di colpe molto gravi, si decise di dargli una bella lezione.
A compiere la “missione” fu mandata la ferale Sekhmet, Sposa di Ptha, (Dio Creatore, corrispondente… un po’… al nostro Padre Eterno)  nelle sembianze di Leonessa Sacra.
Cosa fu, cosa non fu, ma… la Dea si lasciò trasportare dalla propria natura ferina e compì una vera strage, tanto da minacciare di estinzione il genere umano.
Preoccupato, Ptha (o Ra, secondo altre versioni) pensò bene di inondare tutto il territorio di birra rossa.( gli antichi egizi ne facevano largo uso!)
La Dea, scambiandola per sangue, si prese una bella sbronza e… si dimenticò di portare a termine la “missione”…
L’uomo, dunque, sarebbe salvo solo grazie ad una sbornia divina!!!

Altra versione:
La Dea, sempre Sekhmet, che doveva risparmiare gli uomini giusti, se la prese anche con Adap  (il Noè della situazione) e lo ferì mortalmente.
Quando si rese conto della gravità del fatto, si fermò e cominciò a versare un bel po’ di lacrime di pentimento.
Furono proprio quelle lacrime a sanare le ferite di Adap ed a restituirgli la vita.
Fu così che Sekhmet, Dea della Distruzione,  divenne anche Dea della Rinascita… Ambivalenza, come in quasi tutti gli aspetti della filosofia egizia.  

Commento di Alfio Giuffrida
Maria Pace, ex insegnante e ricercatrice di antiche etnie, è una scrittrice. E’ stata già ospite di questo blog. Il suo modo di scrivere ha molto in comune con il VERISMO INTERATTIVO ed infatti, nella pagina FOUM del sito http://www.alfiogiuffrida.com/  è già aperta una interessante discussione sul Diluvio e sull’Antico Egitto.
Per maggiori informazioni vedi il sito http://www.mariellapace.altervista.org/ .

Il depliant dell’Inchino all’isola di Procida

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È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp

«Un giorno, navigando su internet a casa sua, Park aveva trovato una pubblicità della Costa Crociere in cui si parlava di quel saluto che la nave Concordia aveva fatto all’isola di Procida. Si era ricordato del nostro litigio ed aveva capito quale doveva essere stata la mia meraviglia nell’avere assistito personalmente a quello spettacolo. Si era guardato a destra ed a sinistra per assicurarsi che non ci fosse sua madre nella sua stanza.
Non voleva che lei vedesse quella nave e neanche che lui la osservasse sullo schermo del suo computer tramite internet. Non si accorse che sua madre era lì, esattamente dietro di lui, che lo osservava in silenzio, come sempre, senza che lui se ne accorgesse.

Aveva messo quel depliant a schermo intero e cercava di leggere quelle frasi che, purtroppo per lui, erano scritte in italiano. Si sforzava di capire cosa ci fosse scritto, pronunciando a bassa voce, come per fissarsele in mente, le poche parole che riusciva a decifrare. Diceva così “Costa Concordia” … “Isola di Procida” …. “Comandante Francesco Schettino” … E intanto il suo cuore aveva quasi smesso di battere, i suoi occhi erano fissi sullo schermo del computer, la sua mente avulsa dalla realtà. Poi smise di leggere, poggiò i gomiti sul tavolo e mise la testa tra le sue mani, come per sorreggerne il peso, mentre i suoi occhi si riempirono di lacrime, che caddero sul tavolo e lo bagnarono.
In quel momento una mano passò leggera sui suoi capelli. Lui si voltò di scatto, sorpreso da una presenza di cui non si era accorto. Vide sua madre, che era proprio dietro di lui, che vegliava sulle sue azioni in modo impalpabile, mentre lui era talmente intento ad osservare quella foto che non aveva affatto notato la sua presenza.    
La sua povera madre, che alcuni mesi prima aveva sofferto molto, specialmente in quelle settimane in cui erano stati litigati e separati, era sempre dietro di lui, pronta a vegliare su ogni sua mossa, a proteggerlo da ogni pericolo, ad invogliarlo nei suoi desideri. Lei non pensava mai a se stessa, voleva solo che il figlio fosse felice, perché si era sacrificato fin troppo per tutta la famiglia ed in particolare per lei. Era giusto che lui avesse una vita normale, fosse libero di salire su qualsiasi nave senza preoccuparsi che sua madre stesse male. Si era resa conto che, probabilmente, era stata questa sua prevenzione contro le navi, questa sua ossessione, che aveva fatto fuggire il figlio minore fuori da casa.

E adesso chissà dov’era? Da oltre un anno era lontano da casa e non aveva dato più notizie di se. Forse era proprio a bordo di una nave? Visto che quella era la sua passione da ragazzo e il dramma del padre lui lo aveva vissuto solo di riflesso. Era stato solo Park ad interessarsi del riconoscimento del cadavere, delle pratiche burocratiche, della malattia della madre, del trauma della sorella, delle necessità economiche della famiglia, di tutto ciò che in quel momento lei non riusciva neanche ad immaginare. Mentre aveva ben chiari i sacrifici che il figlio si era accollati in tutti questi anni! E adesso la sua felicità era stroncata da questa sua paura ossessiva! Non era giusto! Adesso doveva lei ad essere forte, a spronarlo anche se lei in quel momento si sentiva morire. 

giovedì 24 ottobre 2013

“Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida - L’inchino all’isola di Procida


È un brano del libro:  “Quella notte al Giglio” di Alfio Giuffrida
È in vendita nelle librerie oppure on line:  http://www.unilibro.it/find_buy/ffresult.asp 

Ad un tratto, verso mezzogiorno, sentimmo dei boati, come dei colpi di cannone sparati lì, vicino al porto. La signora del negozio, dove Silvia stava provando una maglietta, sorrise soddisfatta, come se si stesse, finalmente, avverando qualcosa che aspettava con ansia. Ci fece segno di uscire dal negozio e guardare verso il mare. Nel frattempo si udirono altri colpi di mortaio, come quelli che si sparano durante le feste patronali, tre, quattro …. dieci.

In quel mentre, da dietro le alture che delimitavano il porto, ecco apparire una nave bianca ed enorme, con un grande comignolo giallo sul quale era impressa una imponente “C”. Subito rispose al saluto inviato dall’isola, con tre lunghi e potentissimi fischi di sirena. La gente si riversò sulle strade per guardare quello spettacolo veramente insolito. Quelli che potevano avere a disposizione una barca o un motoscafo, si imbarcarono per avvicinarsi alla nave che intanto aveva rallentato la sua corsa e si era avvicinata all’isola in modo impressionante.


 

Fu una grande emozione non solo per gli abitanti di Procida, che forse erano abituati a questi passaggi ravvicinati, ma anche per i numerosi turisti che affollavano le strade, i quali accolsero quel saluto con applausi, mentre dai negozi e dalle case erano apparsi striscioni e trombette che salutavano il loro Comandante Schettino, di Meta di Sorrento, che lì era conosciuto da tutti. Lui era l’idolo dei ragazzini, colui che riusciva a portare la sua nave davanti al porto più vicino di ogni altro, per regalare ai suoi amici di Procida e ai passeggeri della sua nave uno spettacolo indimenticabile.

Motoscafi, pescherecci, barche di ogni genere cominciarono a fischiare con le loro sirene, mentre la grande nave Concordia rispondeva con la sua grande sirena che sovrastava, di gran lunga, tutte quelle degli altri natanti. È stata una festa destinata a restare impressa negli animi e nella mente della gente, un atto d’amore ed un omaggio alla tradizione marinara che procidani e sorrentini avevano nel loro DNA.

La nave era talmente vicina al porto che sembrava si potesse toccare!», continuò Alex anche lui preso dall’eccitazione nella rievocazione di quei momenti, «Era come se la Costa Concordia, con i suoi tredici ponti ed una stazza di oltre centomila tonnellate, non fosse più in mezzo al mare, ma stesse li in piazza, in mezzo a noi. Si vedevano le persone a bordo che brindavano alla nostra salute mentre noi facevamo loro delle foto, come  per suggellare un ipotetico sposalizio tra la terra e il mare.

Io e Silvia restammo contenti e soddisfatti di quello spettacolo, mentre Bae era rimasta letteralmente entusiasta. Per la commozione aveva le lacrime agli occhi! Appena la nave era passata via, voleva subito telefonare a Park per esternargli la sua gioia, per raccontargli quello spettacolo meraviglioso a cui lei aveva assistito e che l’aveva incantata. Ma mentre stava già componendo il numero si fermò e il suo volto si fece buio, come se ci fosse qualcosa a cui non aveva pensato prima e che destava in lei delle recondite, enormi, viscerali preoccupazioni.

Ripose il cellulare e disse che in quel periodo lui stava lavorando molto e la sera andava a letto presto, per cui, visto che a causa della differenza di fuso orario, forse lo avrebbe disturbato, rimandò la telefonata al giorno successivo.

Silvia si accorse che la titubanza di Bae risiedeva in qualcosa di più profondo, la chiese se c’era qualche problema fra lei e il suo fidanzato, ma la ragazza disse che non c’era nulla, per cui rientrammo nel negozio dove mia moglie stava provando la sua maglietta, senza dar peso a quel senso di preoccupazione che si era instaurato sul volto della nostra ospite.

Naturalmente, il discorso cadde subito sulla nave da crociera che era appena passata. Vedendo che la nostra amica non era italiana, la padrona del negozio ci chiese da dove veniva e se nel suo paese le navi usassero fare “l’inchino” in questo modo. Bae capì, più dalle gesta che dalle parole, ciò che la signora aveva detto e rispose subito, naturalmente in inglese: «Non sono mai stata su una nave da crociera. Mi piacerebbe andarci!»

La signora del negozio capì benissimo ciò che la ragazza aveva detto, tuttavia preferì rispondere in dialetto, agitando le mani e gesticolando, come usano fare le donne napoletane. Forse voleva dare un senso più chiaro ed immediato alle sue parole, o comunque imprimere una forza maggiore a ciò che voleva dire.  

«Signurì, se vuie siete fidanzata, quannu ve maritate avite a fà ‘a luna di miele ‘ncoppa a ‘na cruciera! Allura sì che nun vu scurdate chiù da festa che vi fannu!» Disse la negoziante mentre la guardava divertita. E riuscì perfettamente nel suo intento! Quella luna di miele in crociera gliela fece entrare nel sangue!

Bae non solo capì perfettamente le parole della donna, pur se dette in dialetto, ma si entusiasmò a tal punto che, dalla gioia, le tremarono le gambe.