sabato 19 maggio 2012

Alfio GIUFFRIDA: L'anno del Niño - Brani scelti

Il tempo passava e le trattative per il rilascio degli ostaggi languivano. Manuela non mollava, era sempre li, tra la sua stanza d’albergo e l’ambasciata, sempre in attesa di una notizia di speranza. Isabella ed Alberto tornarono più volte a trovarla, Manuela gradiva molto le loro visite, le portavano notizie della sua famiglia e qualche soldo, anche se lei era interessata solo ad una cosa, la metà della sua vita era dentro quel maledetto edificio, da cui non trapelava nulla.

Eravamo ormai ad aprile, Manuela era veramente ridotta male, sia in salute che nello spirito, un esaurimento da far paura. Isabella era costretta a rientrare a Quito per il suo lavoro mentre Alberto aveva ancora qualche giorno libero, così Isabella in uno slancio di sincera amicizia verso l’amica, lo pregò, lo supplicò di restare ancora qualche giorno con lei, perché in quel momento Manuela ne aveva proprio bisogno. Così Alberto fece una telefonata per dire che lui restava qualche giorno in più, e così fece. Alberto dovette usare tutte le sue dolcezze per portarla ai giardini pubblici, farla sedere su una panchina e farla sfogare. Farle tirar fuori tutta la sua rabbia verso quei banditi di cui parlavan tutti, chi per condannarli come assassini, chi per inneggiarli come eroi. Eppure tutti, sommessamente, capivano che il sangue e la violenza erano sicuramente il peggiore dei mali. Ma nessuno osava dirlo a voce alta, l’orgoglio di vincere, di far prevalere la propria idea anche a costo della vita degli altri, prevaleva sempre sul buon senso e sulla ragione.

Ma anche ai giardini Manuela non riusciva a rilassarsi, era agitata, tesa. Alberto dovette riportarla in quella casa che lei aveva preso in affitto per stare vicina a Michel, le preparò una camomilla, nella speranza che si calmasse. E a casa Manuela cominciò a piangere, senza più forza in corpo, appoggiando il suo volto sulla spalla di Alberto. Lui l’accarezzava, per farle capire che aveva ragione, per dirle, senza parole, che lui condivideva il suo sfogo, ma anche lui era impotente di fronte alla violenza. Ad un certo momento lo sconforto aveva sopraffatto le loro forze, si guardarono negli occhi e piansero assieme. Il dramma era ormai così forte che anche lui ne era stato tirato dentro, lo sentiva come suo. Le carezze che faceva sul capo di Manuela erano vere, di dolcezza e compassione. Qualche volta Alberto aveva anche sfiorato con le labbra i capelli di Manuela, in modo impercettibile, senza che lui se ne accorgesse. Ma quel gesto non era passato inosservato a chi ne aveva estremo bisogno. Finalmente Manuela si addormentò, erano giorni che non riusciva a prendere sonno. Alberto la prese in braccio e la mise a letto con tutti i vestiti, le rimboccò le coperte e le dette il bacio della buona notte, anche se ancora c’era il sole.



Il giorno  seguente Alberto tornò a trovare Manuela a casa, con un pensiero in mente ed una volontà più che risoluta ad attuarlo. Per dirle che partiva per tornare da Isabella, voleva evitare che fra loro si ripetessero episodi di tenerezza come quella che c’era stata tra loro il giorno prima.

Anche Manuela era rimasta agitata dalle effusioni che aveva ricevuto il giorno prima, si sforzò di ascoltarlo, sapeva bene che era giusto salutarsi e non andare oltre, così si spinse avanti per baciare Alberto, per salutarlo, come aveva fatto molte altre volte.

Alberto si scostò un poco per non baciarla sulla guancia, ritenendo troppo compromettente anche quel gesto, alzò la testa e la baciò sui capelli in modo quasi paternale, facendole al tempo stesso una carezza. Ma in quel momento, quando Manuela sentì le labbra di Alberto sui suoi capelli, alzò la testa e lo baciò. Dapprima le sue labbra sfiorarono la sua pelle senza toccarla, in modo quasi impercettibile, poi le due labbra si affondarono sempre più in quelle dell’uomo, andavano da sole, senza essere guidate dal cervello, con ansia e sentimento. Lo baciò sul collo, sulla fronte sulle guance, infine l’ardore prese il sopravvento, un ardore di fuoco, che non era amore, ma rabbia, riconoscenza, sfogo. Forse era proprio amore per Michel, ma intanto le sue labbra baciavano Alberto, i due corpi erano ormai un’unica cosa.



Anche Alberto sentì qualcosa di caldo dentro di se, come se un fantasma si fosse risvegliato e lo obbligasse a fare qualcosa che egli non avrebbe voluto, così egli cercava di indagare nei suoi sentimenti, se era lecito che lui si comportasse a quel modo.

Ma la risposta non arrivava, la sua mente non riusciva a concentrarsi per ragionare, il suo cervello non era collegato alle sue labbra, andavano da sole ed erano calde e bagnate, come quelle di Manuela, le sue mani accarezzavano il corpo della ragazza e lei stringeva il suo.

Stettero così pochi minuti o forse un’ora, per loro il tempo si era fermato. Nessuno ha mai saputo quanto Alberto e Manuela restarono a far l’amore in quella casa. Era già pomeriggio quando Alberto uscì di nuovo, con la valigia in mano per avviarsi veramente alla stazione.

A Cotacachi Alberto andò subito da Isabella, l’abbracciò con forza e tenerezza, le voleva bene, veramente bene, anche se Isabella notò qualcosa di diverso in quell’abbraccio, in quei baci timidi e insicuri, ma non disse nulla. Chiese ad Alberto come stava Manuela, se si era calmata un po’, se aveva cominciato ad accettare la situazione. E Alberto la rassicurò, Manuela era ancora disperata per Michel, ma adesso aveva ripreso contatto con la vita, aveva ripreso a ragionare. Non aggiunse altro, Isabella notò che Alberto era diventato stranamente taciturno. 

Appena ritornato in ufficio per riprendere il suo lavoro, Alberto si immerse subito nello studio del fenomeno del Niño. Studiava giorno e notte, non pensava ad altro. Forse voleva non pensare ad altro, Isabella capiva e cercava di assecondare questa sua decisione, sperava che il lavoro lo aiutasse a dimenticare qualcosa che era avvenuto in quei giorni a Lima e che lei non aveva mai osato chiedere.

Alberto aveva cominciato a scrivere un articolo sul Niño, ad ogni dubbio andava dal nonno di Manuela, per parlare del Niño, per unire la teoria all’esperienza pratica. 

Ma il pensiero di Manuela non gli dava pace, così un giorno di metà aprile, disse a Isabella che doveva andare ad una riunione di lavoro di un paio di giorni a Guayaquil, ma in effetti prese il treno per andare a Lima.

Si, Alberto era proprio intenzionato a chiarire la sua debolezza con Manuela, a troncare ogni relazione che potesse dar luogo ad equivoci, i suoi propositi erano sinceri. La sua mente era convinta, amava Isabella e l’errore commesso con Manuela era da dimenticare, un gesto di tenerezza finito oltre le loro intenzioni. Il suo cuore batteva forte, ma lui era fermo nella sua decisione.

Appena Manuela lo vide, capì subito il motivo per cui è venuto, e lo precedette nelle parole. Gli disse che il loro era stato un errore passeggero, che non aveva lasciato traccia nel suo cuore. Che i suoi pensieri erano tutti dedicati a Michel ed alla sua salute all’interno dell’ambasciata.

E cominciò a raccontargli di aver fatto amicizia con Roberto un ragazzo che sapeva tutto dei Tupamaros, il quale le aveva spiegato il perché di quella azione terroristica, che il loro intento era di aiutare la popolazione, soprattutto i più deboli, le minoranze indios. Le aveva assicurato che dalle ultime voci che circolavano a Lima in quei giorni, la gente era con i Tupamaros, che ormai era questione di pochi giorni e la situazione si sarebbe sbloccata.

«Naturalmente questa amicizia che ti ho confessato è e deve restare un segreto tra me e te», le disse Manuela guardandolo negli occhi. Ma in quello sguardo c’era più che una semplice complicità, ormai tra Manuela ed Alberto c’era qualcosa di più. Evidentemente, negli ultimi giorni, anche Manuela aveva pensato a lui, in modo più intimo che come per un semplice amico. Il suo ragionamento era tuttavia sincero, la sua mente pensava a Michel come un marito ed Alberto come un amico. E così si incamminarono verso la stazione, con l’intenzione di salutarsi e non rivedersi più, era il 22 aprile del 1997.

Ma proprio li, a pochi passi da quel treno che li avrebbe divisi, un saluto con un bacio era la cosa più naturale di questo mondo, un gesto ormai di sincero affetto e non di amore. Tuttavia quel bacio di saluto fu un incanto, stavano mettendo fine ad un amore durato solo qualche ora, il battito del cuore saliva impetuosamente. Le labbra dell’uno si appoggiarono alle guance dell’altra e viceversa, le menti erano piene di pensieri, di ricordi e di ragionamenti. L’abbraccio era forte e certo non si accorgevano che per strada stava succedendo qualcosa.



Che la gente correva ed urlava qualcosa che riguardava l’ambasciata. Dicevano che i militari peruviani avevano effettuato un blitz ed ucciso i Tupamaros, mentre gli ostaggi erano liberi. Molti era già fuori e correvano verso casa.

Così era Michel, che per raggiungere al più presto Manuela, abbracciarla e farle sapere che stava bene, aveva rubato la prima moto che gli era capitata a tiro e correva verso la casa dove ella abitava, passando davanti alla stazione.

Ma ad un tratto gli occhi di Michel videro una cosa che certo non potevano prevedere, due persone abbracciate che certo non si aspettava e di sicuro non avrebbe mai voluto vedere. Un errore fatale, ma per lui la scena era chiara, ai suoi occhi non lasciava spazio ad equivoci, un bacio che voleva dire tutto. E così la sua mente si staccò dal suo corpo. Le sue mani andarono da sole sul suo volto, come a coprirsi gli occhi per non vedere quella mostruosità e la moto andò dritta contro il muro. Fu uno schianto terribile, che fece girare tutte le persone lì intorno, compresi Manuela ed Alberto, che si staccarono da quel nuovo attimo di evasione e ritornarono nella realtà e, prima ancora di vedere un incidente stradale, ebbero una istantanea visione di cosa era successo. Intuirono tutto prima di vedere. Il sangue si gelò nelle loro vene.


Nessun commento:

Posta un commento