martedì 21 febbraio 2012

Il Protocollo di Kyoto

Il clima della Terra è stato, da sempre, in continua evoluzione. Alla fine del secolo scorso si è notato tuttavia che si stava verificando una veloce impennata nell’aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera e ciò era probabilmente dovuto all’effetto serra causato dagli scarichi industriali e dai veicoli dei trasporti, sia aerei che su strada. L’uomo quindi, con le sue attività e la sua presenza, stava riuscendo e cambiare l’andamento del clima e quindi della natura! Questo fatto, come qualsiasi cambiamento che avviene nell’ambiente in cui viviamo ha destato delle preoccupazioni, in quanto l’equilibrio che permette la vita dell’uomo sulla Terra è molto delicato e qualsiasi variazione può essere negativa. Molte organizzazioni gettarono allora un grido di allarme rivolto ai governi dei paesi maggiormente industrializzati, affinché prendessero dei provvedimenti volti a ridurre gli scarichi industriali, anche a costo di frenare il progresso tecnologico, che ci ha permesso  una vita molto più comoda di quella che si poteva vivere cento o addirittura mille anni fa. 

La prima conferenza dei capi di stato sull’ambiente, a carattere mondiale, volta ad analizzare l’uso indiscriminato dei combustibili fossili, ritenuti responsabili del cambiamento climatico globale, nonché le emissioni dei veicoli di trasporto, fu quella che si tenne a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992. Essa tuttavia non dette i risultati sperati, per cui dopo appena cinque anni si sentì il bisogno di organizzare un nuovo summit a livello mondiale.

Nell’estate del 1997 un violento episodio del Niño aveva causato innumerevoli vittime sia in America del sud che sul resto del mondo, per cui il fattore meteorologico era di grande interesse anche tra i governanti.  

Fu così che i capi di stato o i loro rappresentanti plenipotenziari si riunirono nuovamente a Kyoto, in Giappone e, l’undici dicembre del 1997, firmarono quello che passò alla storia come il “Protocollo di Kyoto”.

Esso prevedeva una serie di provvedimenti che ciascuna nazione doveva adottare per ridurre l’immissione di gas inquinanti nell’atmosfera.

Naturalmente l’adozione di tali provvedimenti prevedeva l’emissione di leggi speciali in ciascuno degli stati aderenti, che dovevano essere approvati dai parlamenti di ciascuno stato e che avrebbero causato notevoli ripercussioni negli apparati industriali di ciascuna nazione. Ciò avrebbe comportato delle enormi spese, per cui si capì subito che il raggiungimento degli obiettivi che gli scienziati avevano prospettato non era affatto facile.

Per evitare che solamente alcune nazioni si facessero carico di tali spese, mentre altre non facessero nulla, continuando a inquinare l’atmosfera e rendendo vano lo sforzo delle prime, erano state poste delle clausole da rispettare.

Perché il trattato potesse entrare in vigore, si richiedeva che fosse ratificato da non meno di 55 nazioni firmatarie e che le nazioni che lo avessero ratificato fossero quelle che producevano almeno il 55% delle emissioni inquinanti.

Per alcuni anni il “Protocollo di Kyoto” è rimasto quindi solo allo stato di proposta; le condizioni per la sua entrata in vigore sono state raggiunte solo nel novembre del 2004, quando anche la Russia ha perfezionato la sua adesione.

Nel periodo di attesa tale argomento era tesi delle più accanite discussioni, soprattutto tra i giovani, che volevano per i loro figli un’atmosfera più pulita di quella che i genitori avevano lasciato loro.

In Svezia tutti erano assetati di notizie sulla veridicità e la consistenza dei cambiamenti climatici e tutti volevano sapere se l’essere umano era veramente il principale responsabile dell’aumento dell’anidride carbonica sul nostro pianeta. Uno di loro criticò aspramente la Russia e gli Stati Uniti che non avevano ratificato il Protocollo di Kyoto del dicembre 1997 sul riscaldamento globale, disse che tutti i Paesi che si ritengono “civili”  avrebbero dovuto operare una riduzione delle emissioni di elementi inquinanti senza che ciò fosse un obbligo riservato ai paesi industrializzati.

Con questo si riferiva alla Cina e all’India che nel giro di pochi anni erano passati da una economia rurale ad una altamente industrializzata senza tener conto minimamente dei requisiti per il rispetto dell’ambiente. Ciò in quanto, essendo stati riconosciuti come paesi in via di sviluppo al momento della stesura del trattato, essi non erano tenuti a ridurre le emissioni di anidride carbonica, metano ed altri gas ad effetto serra.

È un brano del libro “Deserto Verde”, di Alfio Giuffrida, ambientato nel 2000, nel quale si ricorda una discussione che l’autore ascoltò realmente da due studenti, suoi occasionali compagni di viaggio su un treno che andava da Stoccolma a Norrköping.


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