In
un attimo perse tutta la sua prepotenza ed anche quel senso di sicurezza che
aveva verso se stesso. Tutto quel mondo dorato che aveva costruito attorno alla
sua figura, stava crollando miseramente ed implacabilmente. Pensò a se stesso
non più come a un giudice, onesto, severo, giusto ed imparziale, delle cui
azioni e decisioni andava fiero, che sapeva giudicare e consigliare il
prossimo, dettando le sue giustissime sentenze anche in famiglia. Tutto ciò era
ormai avvolto in una nebbia irreale, mentre una nuova luce si faceva spazio nel
suo cervello stanco. In quel momento si vide di nuovo bambino.
Nella
sua mente era tornato ad essere semplicemente Luca, quel ragazzino che giocava
felice assieme a tanti altri, con le sue marachelle e la sua gioia di vivere,
con i suoi piccoli problemi, i suoi grandi interessi e col suo sogno segreto:
che un giorno sarebbe riuscito a diventare una persona importante.
Nel
silenzio della notte, egli cercava di capire cosa fosse accaduto alla sua
mente. Valutare se il suo cervello era completamente spento o fosse ancora in
grado di pensare. Poi, a poco a poco, le sue cellule celebrali ripresero a
lavorare, cominciò a rivedere, come in un film, le immagini salienti della sua
vita. Rievocò gli anni della sua fanciullezza, la spensieratezza delle sue
azioni da bambino, gli episodi accaduti nel paesello dove era nato, laggiù in
Sicilia a metà strada tra Catania e l’Etna.
Fu
il ricordo di una vita semplice, le passeggiate scolastiche che nel periodo
delle scuole elementari si facevano il giovedì, quando la maestra li portava
fuori, formando una lunga fila di piccoli alunni che si tenevano tutti con la
mano. Prima però controllava, con lo stesso amore che avrebbe avuto una mamma, che
i “suoi” bambini avessero tutti la loro colazione a sacco, in genere due fette
di pane con in mezzo un po’ di mortadella o di formaggio fatto con latte di
pecora fresco, di quello comprato dal pecoraio del paese che lo faceva in casa
e, quando lo si addentava, faceva uno strano stridio di fresco sotto i denti.
Ma erano in pochi ad averlo, perché costava caro ed solo alcuni di loro
potevano permetterselo.
La
passeggiata in genere era breve, la maestra li portava sempre nel cortile di
una vecchia chiesa sconsacrata che era poco distante dalla scuola, ma i bambini
erano molto contenti di poter correre un po’ e giocare a nascondino tra quei
pochi alberi di olivo e qualche manufatto abbandonato.
In
terza elementare avevano avuto invece il “Maestro Tomaselli” che era anziano e
della vecchia guardia, lui non aveva la pazienza di controllare le loro merende
e portarli sull’erba. Lui era un gran brav’uomo, un padre di famiglia, ma era
anche un nostalgico, non si era per nulla accorto che il mondo era cambiato.
Quei
“suoi” bambini lui li considerava ancora dei piccoli “Balilla”, nonostante quel
periodo fosse ormai del tutto passato. Il giovedì, nell’ora della passeggiata,
li inquadrava nel cortile della scuola e li faceva marciare, dritti ed in riga
come dei veri soldati. Aveva insegnato loro a prendere le distanze tra una fila
e l’altra con il braccio destro alzato, poggiando la mano prima sulla spalla di
chi stava loro davanti e poi di chi stava loro a fianco, in modo da non urtarsi
quando marciavano a passo cadenzato, mentre lui scandiva forte “un, due, un,
due, … passo!”.
Aveva
insegnato loro a fare anche il “passo dell’oca” ed avrebbe voluto che i bambini
facessero anche il saluto fascista, ma qualche genitore l’aveva saputo ed era
andato a dirgli, a brutto muso, che non era il caso che rievocasse in modo così
evidente un passato che tutti avevano voglia di dimenticare in fretta. E lui
aveva obbedito, anche se nessuno seppe mai se ciò fu per paura, oppure per la
consapevolezza di chi è convinto delle sue idee, ma rispetta anche quelle degli
altri.
E
poi ci fu la grande nevicata del ’56, quella che è stata rievocata anche in una
canzone di Mia Martini che ha avuto molto successo. In quella occasione tutti i
bambini di Mascalucia giocavano a fare pupazzi di neve oppure si rotolavano
felici nella piccola discesa di Via Calvario dove, in alcuni giorni, la neve
era abbastanza alta e le macchine non potevano circolare. In quell’ambiente, tanto
strano in un paese del sud, che era diventato improvvisamente di aspetto polare,
imbiancato di neve e bloccato nelle attività quotidiane, che faceva arrabbiare
gli adulti, impacciati ed impossibilitati a recarsi al lavoro, i bambini
facevano le loro nuove esperienze, adattandosi con gioia a quel paesaggio
soffice ed impalpabile.
Il
piccolo Luca giocava sereno e quando si ritirava a casa si prendeva i
rimproveri di mamma perché si era inzuppato di neve e poteva raffreddarsi. Ma
erano rimproveri benevoli, che finivano sempre con un bacio.
Quell’anno
tutte le regioni d’Italia, fino a quelle più estreme del meridione, furono
imbiancate da uno spesso strato di neve, che cadde anche in Africa, sulle dune
del deserto del Sahara. Un evento veramente eccezionale che durò per tutto il
mese di febbraio e, dopo una pausa di una quindicina di giorni, riprese a
marzo, classificando quell’anno come il più freddo della storia recente, anche
se i record di temperatura minima appartengono con maggior frequenza al gennaio
1985, quando una massa d’aria gelida, proveniente dai Balcani, invase la nostra
penisola per un paio di giorni.
Nel
suo letto, zuppo di sudore, il giudice pensò a quei pomeriggi in cui doveva
sbrigarsi a fare i compiti che gli aveva assegnato la maestra, per poi correre
fuori a giocare con gli altri bambini della sua età. Cercò di ricordare i nomi
di alcuni di loro: c’era Turi, che da grande era diventato giornalista e scrittore,
Nino che poi fece il pasticciere e Filippo già destinato a fare il farmacista,
perché quello era il lavoro di suo padre; e tanti altri. Quanti ricordi, dolci
e confusi, passarono per qualche istante nella sua mente stanca!
Nel
paese si conoscevano tutti e i bambini andavano sempre a giocare nel piazzale
davanti alla Chiesa Madre e poi, non appena cominciava a farsi tardi, si riunivano
tutti nella sede della “Democrazia Cristiana”: un grande salone dove nei
periodi subito antecedenti le elezioni, i politici locali tenevano dei comizi
al chiuso, mentre nei rimanenti periodi dell’anno era gestito dai notabili di
quel partito.
In
pratica quella sala era sempre a disposizione di quegli anziani, ritenuti
politicamente fedelissimi, che stavano lì a giocare a carte e guardare la
televisione. C’era uno di quei primi televisori che si videro in Italia a metà degli
anni ’50, acquistato presso l’unico rivenditore che nella vicina città era
riuscito ad accaparrarseli, il quale diceva con grande orgoglio, che lui li
importava direttamente dall’America.
Era
uno di quegli apparecchi grandi, pesanti, profondi e con lo schermo piccolo, al
quale, come era di abitudine a quel tempo, si usava far costruire dal falegname
del paese un mobile ad hoc per contenerlo. Quello situato nella sede della
Democrazia Cristiana era di legno scuro, con le ante, che la sera, quando
finivano i programmi ed appariva una antenna televisiva che scendeva e scompariva
nella parte bassa dello schermo, si potevano chiudere per proteggere quel
prezioso strumento tecnologico e custodirlo, oltre che dalla polvere e dagli
urti accidentali, anche dagli sguardi dei curiosi del partito opposto, che
sicuramente lo desideravano ma non erano ancora riusciti a raggiungere
l’accordo, o la somma, per poterlo acquistare e finalmente vedere anche loro le
notizie, i film e gli spettacoli che diventavano sempre più interessanti.
A
volte entrava in quella sala anche il vecchio Parroco del paese, soprattutto
quando c’era qualche intruso dell’altro partito, che lui conosceva bene, con il
quale si soffermava a far due chiacchiere per sapere se, effettivamente, si era
politicamente convertito oppure era venuto solo per curiosare. Spesso veniva il
maresciallo dei Carabinieri, sempre ossequiato e riverito dagli adulti e
scrutato con attenzione dai bambini, le cui mamme lo indicavano sempre come
simbolo dell’autorità dello Stato e della severità della Legge. A volte passava
anche il farmacista, un’altra delle figure eminenti di quei piccoli paesetti di
provincia, ma lui non entrava mai dentro, come invece facevano gli altri che in
quel modo approfittavano per ammirare quel gioiello della tecnica, lui si
fermava sempre davanti alla porta perché il televisore lo aveva già comprato e
lo aveva a casa, anche se non lo aveva mai detto a nessuno per evitare di avere
troppe visite indiscrete.
In
quella grande sala, arredata solamente con sei o sette file di sedie disposte
davanti al televisore, gli amici dei notabili venivano a vedere il telegiornale
ed il sabato sera, a turno secondo la capienza della sala, potevano portare
tutta la famiglia per assistere ai programmi di quell’unico canale televisivo
di cui l’Italia di allora disponeva. Si potevano seguire i primi spettacoli di
varietà di Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello o il gioco a quiz: “Il musichiere”
presentato dall’indimenticato Mario Riva. I bambini invece erano ammessi tutti
i giorni, ma solo fino all’ora di “Carosello”, poi tutti a casa, a chiedere alla
mamma il formaggino di cui avevano visto la pubblicità e sentirsi dire che non
c’era, perché costava troppo ed in paese non si trovava, per comprarlo
bisognava prendere la corriera ed andare in città.
Così
una mezz’ora prima che iniziasse il famoso programma pubblicitario, tutti i
ragazzini arrivavano in quella sala come attratti dal miele e chiamavano a gran
voce quel loro amico, che un giorno sarebbe diventato un giudice, per fare come ogni sera, il loro
gioco preferito: “Se avessi una bacchetta magica”.
Quel
gioco scaturiva dal fatto che lui aveva una discreta conoscenza di geografia,
trasmessa dal suo vicino di casa, l’avvocato Condorelli che la geografia
l’aveva nel sangue, come una passione. La studiava anche di notte perché doveva
presentarsi, su quella materia, a “Lascia o raddoppia”, una delle prime
trasmissioni di Mike Bongiorno e spesso chiamava quel ragazzino per ripassarla
e ripeterla a qualcuno. E il piccolo Luca partecipava interessato, in quanto
gli piacevano tutte quelle notizie geografiche, per cui si era fatta una
cultura sulle capitali di tutte le nazioni o sui fiumi più lunghi della terra, ben
più vasta di quella che avevano i ragazzini della sua età.
Ma
il nostro piccolo giudice era dotato anche di una straordinaria fantasia, che
gli permetteva di sfruttare quelle nozioni che aveva imparato ed inventare
viaggi immaginari, emozioni fantastiche e divertenti che egli riusciva a
trasmettere con facilità ai suoi amichetti, rendendoli impazienti di partecipare
ogni giorno ad avventure immaginarie e fantastiche, sempre diverse tra loro.
In
quel momento lui diventava il leader di quel gruppo di bambini che, appena
entravano, andavano subito a prendere un paio di sedie, le giravano per terra
con la spalliera disposta in alto, in modo che diventassero delle piattaforme
un po’ allungate, dove loro si sedevano a cavalcioni ed erano pronti a
partecipare ogni sera ad un nuovo, fantastico viaggio.
Luca
arrivava orgoglioso e pieno di sé, sentendosi grande rispetto a quei suoi
coetanei che lo acclamavano. Si appoggiava, facendo finta di sedersi, sulla
spalliera della prima sedia, che rappresentava per qui bambini una lunga fila
di tappeti volanti ed iniziava il solito gioco: «Se avessi una bacchetta magica,
oggi vi porterei a … Parigi. Ecco stiamo sorvolando la Senna, è proprio sotto
di noi, attenti alla Torre Eiffel, potremo sbatterci e farci male, se state
tutti raccolti vi faccio passare sotto l’Arco di Trionfo e lì in fondo potete
vedere l’orologio della stazione dei treni che vengono dall’Italia».
Era
un gran vociare fra tutti quei bambini, che si zittivano a vicenda per
ascoltare le fantasie che lui raccontava di getto, attirando sempre il loro
interesse ed anche l’attenzione dei vecchi, che facevano solo finta di essere
infastiditi dall’inevitabile baccano che ne scaturiva, ma in fondo ascoltavano anche
loro, con interesse, quelle improvvisate fantasie di un bambino che, dicevano
con un pizzico di ammirazione, diventerà sicuramente qualcuno.
Quanti ricordi stamattina,davanti una fumante tazza di caffè e latte,vengono fuori da quella foto dell'asilo in via calvario angolo via teatro dove abitava la fiorentina ,mi ricordo la prima volta che mi capitò di andare da lei, la cameriera mi fece entrare nella sala ma io rimasi impietrito alla vista di quella tigre che giaceva sotto il tavolo di vimini,ma era solo una pelle completa di testa.Le scorribande con tatà ,abitava di fronte casa tua,nella vigna della zia amelia dove sovente appiccavamo piccoli incendi con le fascine dei tralci delle viti e per passare da un fuoco all'altro le luminarie che si facevano in via calvario all'angolo del vico dove abitava saru u pazzu e i salti che faceva quando le fiamme erano ancora alte.Grazie Alfio ,stamane sono ritornato nella nostra vecchia via calvario che purtroppo non esiste più.
RispondiEliminaCaro Alfio, ti ricordi quando via Calvario era piena di neve, nel 1956, e noi ci rotolavamo per terra avvolti nei cappotti?
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