domenica 23 dicembre 2012

Vacanze sulla neve con il cane


Ci avviciniamo alle vacanze invernali ed è tempo di andare sulla neve. Ma anche in questo periodo si presenta, pur se in forma numericamente minore, lo stesso problema che nei mesi estivi fa raccapricciare il cuore a migliaia di italiani: quello dell’abbandono degli amici a quattro zampe che non possiamo portare con noi nei luoghi di vacanza.

“Quel giorno la Via del Mare era piena di traffico. ….  Ad un tratto la loro attenzione fu attratta da una cagnetta quasi bianca, con le orecchie e la testa chiazzate di un colore marrone scuro, che procedeva anche lei verso Ostia, zoppicando un pò, ma senza mai rallentare il suo passo. …… Eppure cosa era accaduto era ben chiaro, non occorreva avere troppa fantasia per capire come erano andati i fatti! Sicuramente aveva avuto una bella cucciolata, ma il suo padrone aveva deciso che non poteva o non voleva tenerla. Sicuramente la povera bestiola era stata buttata fuori di casa, portata chissà in quale strada fuori città e lì abbandonata, forse con la segreta speranza che qualche macchina la mettesse sotto, chiudendo definitivamente la partita e non se ne parlava più. E i cuccioletti? Chissà, forse venduti, oppure buttati in qualche secchione della spazzatura, come stracci sporchi di sangue. E tutto questo non per un incidente o un brutto gioco del destino, ma solamente perché qualcuno di noi uomini, che  noi stessi abbiamo distinto dagli animali e finora giudicato, a torto, “di intelligenza superiore”, aveva deciso che quella povera bestiola “dava fastidio”. Eppure, la cosa più sorprendente è che l’animale che ha subito un simile trauma non reagisce con rabbia e con odio verso il suo padrone, anzi dopo pochi istanti lo ha già perdonato ed è disposto a farsi toccare ed accarezzare sempre e solo da lui.”

È un brano del libro: “Chicco e il Cane” di Alfio Giuffrida, che in questo momento dovrebbe far riflettere tutti coloro che si accingono a partire per le vacanze e sono tentati, sia pur lontanamente, dal compiere un gesto come quello descritto nel libro. Un gesto di cui poi, ragionando con calma in una casa ormai vuota di quell’amico a quattro zampe, cane o gatto che sia, che la riempiva con le sue feste e adesso non c’è più.

A parte questa riflessione, voglio darvi un aiutino: un elenco di alberghi, nelle stazioni sciistiche, che accettano i cani come ospiti.


Prov. Aosta: HOTEL DUFOUR - Comune: Gressoney-La-Trinitè
Prov. Belluno: SPORT HOTEL CORTINA - Cortina d´Ampezzo
Prov. Bolzano: HOTEL TOURING - Comune: Santa Cristina Valgardena   Località: Santa Cristina
Prov. L’Aquila: HOTEL ORSO BIANCO - Comune: Pescasseroli
Prov. Sondrio: HOTEL CAMINO - Comune: Livigno
Prov. Trento: HOTEL FLORIDA - Comune: Levico Terme



mercoledì 19 dicembre 2012

I Cicloni Mediterranei


Un ciclone tropicale è un sistema di bassa pressione caratterizzato da una vasta area dove le correnti sono fortemente ascendenti, ad esclusione di una piccola zona al centro del ciclone, con tempo estremamente perturbato. Una tale perturbazione è caratterizzata da numerosi temporali che producono forti venti e pesanti piogge. Questi cicloni si ingrossano grazie al calore liberato dall'aria umida che evapora, con conseguente condensazione del vapore acqueo. Sono diversi da altre tempeste proprio perché hanno un diverso meccanismo di alimentazione del calore.

La domanda che ci poniamo oggi, dopo che l’uragano Sandy, pur se al livello di Tempesta Tropicale, ha causato forti danni a New York, riguarda il nostro Paese e il bacino del Mediterraneo in cui l’Italia è baricentrica. Gli uragani possono formarsi o arrivare fin qui? Siamo anche noi a rischio?


In teoria la risposta è “no!”, in quanto i cicloni tropicali non hanno nulla a che vedere con le classiche perturbazioni di ogni area del mondo, e quindi anche delle zone temperate, perchè hanno un sistema “esclusivo” di alimentazione del calore. Essi si formano vicino all'equatore, a circa 10° di latitudine di distanza da esso. Inoltre gli uragani che si formano ai Caraibi non si sono mai spinti all’interno del Mediterraneo.

Tuttavia, pur con una scala diversa di potenza distruttiva, anche il nostro mar Mediterraneo, in determinate situazioni sinottiche di fortissima instabilità e con l’immancabile supporto delle masse d’aria calde e umide stagnanti sopra la superficie marina, può sfornare dei veri e propri sistemi ciclonici con caratteristiche tropicali, analoghi alle tempeste tropicali o agli uragani o tifoni che si formano sul finire della stagione calda sui mari tropicali.

Questo particolare tipo di perturbazioni vengono classificate con il termine di “TLC”, o “Tropical Like Ciclones”.

Essi hanno una estensione molto più limitata, ma attorno al profondo minimo barico riescono a conservare una grandissima potenza che spesso si traduce con una intensa attività convettiva al centro, dove si possono celare dei sistemi temporaleschi particolarmente attivi, e da venti molto forti e turbolenti, spesso sotto forma di tempesta anche se il “Fetch” non raggiunge mai grandi estensioni concentrandosi proprio a ridosso dell’occhio.

Per caratteristiche interne e per forza i “TLC” non hanno nulla da invidiare ai classici cicloni tropicali che sferzano il settore tropicale dell’Atlantico, il Pacifico e l’oceano Indiano.

Questi profondi vortici ciclonici tropicali mediterranei si formano molto spesso nella stagione autunnale, fra Agosto e il mese di Gennaio, nel periodo dell’anno in cui le temperature delle acque superficiali dei mari mediterranei raggiungono i massimi valori, anche con picchi di +27° +28° su tratti del mar Libico.

In anni recenti si sono verificati numerosi casi di Tropical Like Ciclones, giusto per fare un esempio, quello avvenuto il 15 gennaio 1995, il "Medicane" (uragano mediterraneo) "Samir", dell’Ottobre 1996, l’”Uragano Vince” del 2005 che si formò davanti le coste lusitane, e la tempesta tropicale “Grace” del 2009.

Entrambi i sistemi, molto profondi, erano provvisti di una forte attività convettiva attorno l’occhio e da venti con intensità di uragano, ad oltre i 130 km/h.

Si spera quindi che, quanto prima, anche i paesi dell’area mediterranea, cosi come si fa negli USA, in Cina, Giappone o Taiwan per difendersi da uragani e tifoni, si dotino di una rete di monitoraggio più all’avanguardia per cercare di svelare i tanti misteri che ancora si celano dietro queste impressionanti quanto spettacolari perturbazioni tropicali.

Buon Natale













sabato 24 novembre 2012

Il buco nell'ozono

sito web
L'ozono è un gas le cui molecole sono formate da tre atomi di ossigeno. È un gas instabile in quanto tende a riconvertirsi in ossigeno (biatomico), per cui non può essere prodotto e commercializzato in bombole come gli altri gas industriali. Esso è dotato di un forte potere ossidante e, come tale, viene impiegato per sbiancare e disinfettare, in maniera analoga al cloro.

L’interesse per questo gas si è enormemente amplificata da quando si è scoperto il cosiddetto “buco nell'ozono”, cioè una riduzione ciclica dello strato di ozono stratosferico (ozonosfera) che si verifica in primavera sopra le regioni polari. La diminuzione può arrivare fino al 70% nell'Antartide e al 40% (2011) nella zona dell'Artide.

Si è saputo così che l’ozono, pur se è esplosivo e velenoso, quindi pericoloso per l’uomo, tuttavia si trova solo lontano dalla superficie, a grandi altitudini di almeno 10.000 metri. La quantità di ozono presente nell'aria è molto bassa, anche nella stratosfera, la regione dell'atmosfera in cui è maggiormente concentrato, non supera lo 0,00001% della composizione chimica.

L'ozono tuttavia svolge una importantissima azione positiva! Esso infatti è in grado di assorbire i raggi ultravioletti provenienti dal Sole. Queste radiazioni sono letali per la vita: senza la protezione dell'ozono raggiungerebbero la superficie del nostro pianeta. Le piante morirebbero, i mari sarebbero caldissimi e inabitabili. Quasi tutti gli animali sarebbero colpiti da ustioni, cecità, tumori. La presenza dell'ozono, perciò, costituisce una sorta di sottile involucro protettivo intorno alla Terra che filtra la quasi totalità dei raggi ultravioletti.

Recentemente è stato scoperto che la quantità di ozono nell'atmosfera sta diminuendo pericolosamente, soprattutto nel continente antartico. Questo fenomeno è dovuto all'inquinamento dello dalla immissione in esso di sostanze che funzionano da “catalizzatori” ovvero sostanze che accelerano enormemente la riconversione in ossigeno dell’ozono appena formato. Gli scienziati hanno indicato nei clorofluoroidrocarburi (CFC) i responsabili dell'impoverimento di ozono. Il CFC è presente in alcuni fertilizzanti agricoli, nei frigoriferi, nei condizionatori d'aria e in alcune comuni bombolette spray. 

La necessità di affrontare il fenomeno considerandone tutti gli aspetti e le ripercussioni su scala globale ha spinto i rappresentanti delle comunità scientifica, politica ed economica a confrontarsi in periodici incontri, che hanno l’obiettivo di stabilire strategie comuni di intervento.

I primi studi in tal senso risalgono al 1982, quando i governi presero alcune precauzioni, come la riduzione della produzione e del consumo di gas Clorofluorocarburi (CFC contenuti nelle bombolette spray e nei circuiti di raffreddamento) il cui uso venne ridotto drasticamente nel 1988 a seguito del Protocollo di Montreal. Inoltre a partire dal 1990 oltre 90 Paesi decisero di sospendere la produzione di CFC. Oggi il CFC è stato sostituito dai composti Idrofluorocarburi (HFC) che non contengono atomi di cloro e di bromo e non sono dannosi per l’ozono.

Per gli usi industriali, l’ozono viene generalmente preparato al momento dell'utilizzo attraverso apparecchi detti ozonizzatori che convertono l'ossigeno dell'aria in ozono tramite scariche elettriche.  



L’alluvione di Firenze del 4 novembre 1966


In tutta Italia, gli ultimi giorni di ottobre ed i primi del novembre 1966, erano stati caratterizzati da violente ed intense precipitazioni, interrotte solo da brevi schiarite nel giorno di Ognissanti.

Le piogge erano aumentate di intensità nella giornata del 3 novembre, ma a Firenze e dintorni nessuno si dava eccessive preoccupazioni. In mattinata, a causa dell'ingrossamento del fiume, si cominciava a monitorare con sempre maggiore attenzione il bacino dell'Arno. Iniziò a nevicare sul Casentino e sul Mugello, che sono da sempre le due porzioni di bacino maggiormente responsabili delle piene dell'Arno e dei suoi affluenti.

Nel pomeriggio forti perturbazioni colpivano tutto il bacino dell'Arno e le stazioni pluviometriche registrarono valori elevatissimi; in alcune zone della Toscana, durante quella notte, caddero tra i 180 e i 200 millimetri di pioggia, vale a dire circa 200 litri su ogni metro quadrato (vedi, per confronto, la quantità di acqua che cade mediamente durante un temporale sul sito http://alfiogiuffrida.blogspot.it/2012/06/lenergia-di-un-temporale.html  ). Il livello dell'Arno iniziò a crescere con sempre maggiore rapidità. Tuttavia la gente non aveva paura, a Firenze e nei dintorni ci si preparava a trascorrere il 4 novembre, anniversario della vittoria nella Prima guerra mondiale, allora festa nazionale.

A tarda sera il livello dell'Arno continuava crescere fino a farsi inquietante. I vigili del fuoco avevano già ricevuto oltre 100 chiamate di piccoli allagamenti di scantinati ed autorimesse. Le campagne erano allagate e le famiglie che vi abitavano erano salite sui tetti.

Nella notte tra il 3 ed il 4 novembre in mezza Toscana si erano già verificati smottamenti e frane a causa dell'acqua e alcuni fiumi erano già straripati. Verso le 2 di notte del giorno 4, a Firenze, il torrente Mugnone, affluente dell'Arno in piena città, aveva rotto gli argini ed era straripato presso il Parco delle Cascine. L'ippodromo venne allagato, i 260 cavalli presenti erano terrorizzati, la maggior parte furono portati in salvo su dei camion, ma circa settanta cavalli di razza morirono annegati. Verso le 3 la nuova sede del giornale “La Nazione” era allagata. Il Capo Redattore chiamò per telefono l’addetto alla sorveglianza degli impianti idrici per avere qualche informazione, ma quando l’uomo rispose la situazione era già tragica; l'acqua lo travolse durante la telefonata.

Tra le ore 4 e le 7 le acque dell'Arno invasero completamente la città. Il primo a cedere fu  il Lungarno Benvenuto Cellini, sommergendo i quartieri di San Niccolò, Santo Spirito e San Frediano. Poco dopo l'Arno straripò anche nella zona del Lungarno Acciaioli e l'acqua iniziò ad affluire nel quartiere di Santa Croce. Verso le 7 cedette la spalletta di Piazza Cavalleggeri: la furia dell'Arno si abbattè sulla Biblioteca Nazionale Centrale e sul quartiere di Santa Croce.

Verso le ore 9 le acque limacciose dell'Arno raggiunsero Piazza del Duomo, mentre da tutte le fognature l'acqua defluiva con forza verso via Pisana, trasformandola in un vero e proprio fiume di acqua fangosa e piena di chiazze di nafta. A mezzogiorno le acque raggiunsero il massimo della loro altezza e già si aveva notizia delle prime vittime (due anziani rimasti intrappolati).

Finalmente, verso le ore 20, mentre era già sera, a Firenze, dove le acque avevano raggiunto anche i sei metri di altezza, l'Arno iniziò lentamente a lasciare il centro storico e rientrare nel suo corso. Fù l'inizio della fine dell'incubo per la città ma la furia del fiume in queste stesse ore arrivò ed Empoli, dove l'Elsa ruppe gli argini.

Della alluvione di Firenze si è parlato tanto, riportando foto che suscitano sempre la nostra commozione. In questo articolo vogliamo mostrare un documento inedito: il “brogliaccio di stazione” in cui l’operatore meteo della stazione di Firenze Peretola scriveva i suoi appunti, che poi venivano sintetizzati nei messaggi meteorologici SYNOP, emessi regolarmente tutti i giorni, ogni tre ore, in tutte le parti del mondo.  

“Subito dopo la compilazione del bollettino synop delle ore 12.00/z del 4/XI/66, l’acqua straripata dal fiume Arno invadeva l’aeroporto ed in brevissimo tempo raggiungeva, nei locali della stazione meteorologica l’altezza di metri 1,45. L’operatore di servizio ”Maresciallo 2° classe marconista Betti Costantino” a stento raggiungeva (a nuoto, ha poi detto) la vicina palazzina comando aeroporto, ponendosi in salvo al primo piano di questa, dopo aver lasciato il “modello met S201” sopra l’armadio.”

Tre giorni dopo, quando finalmente si è potuto rientrare nei locali della stazione meteorologica, qualcuno ha scritto sullo stesso modello: “Ritrovato il giorno 7/XI/66, intatto. Il giorno 8/XI/66 col bollettino delle ore 15.00/z veniva ripristinato il servizio accentramento bollettini e la compilazione da parte di questa stazione del bollettino “aero” senza gruppo zero, con orario 03.00/18.00. Per svolgere i predetti servizi la stazione è provvisoriamente ubicata in una stanzetta al secondo piano della palazzina comando aeroporto.”

Forse, per chi non è del mestiere, queste parole dicono poco. Invece per coloro che hanno vissuto il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica, mostra l’attaccamento al dovere di un sottufficiale che ha messo a rischio la propria vita per portare a termine il suo compito finchè le forze della natura non lo hanno strappato, a forza, dal suo posto di lavoro. Ed anche in quelle tragiche circostanze, non sapendo se fosse stato in grado di “raccontare” la sua avventura, si era preoccupato di lasciare traccia scritta delle ultime ore del suo lavoro. Viva il Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare!